domenica 12 giugno 2011

quasi pronti

Rieccomi, dopo il matrimonio più bello della mia vita, e più stressante della mia vita, e più commovente della mia vita. Il mio matrimonio insomma. Con la sposa più bella che si sia mai vista, tutta nera, tutta sorrisi e tutta lacrime, i sorrisi più belli del mondo e le lacrime più dolci. E ora mia compagna di viaggio, e io compagno suo di viaggio, verso Melbourne e verso una vita che sarà nuova come nuove sono queste mie sensazioni finora sconosciute, che ancora attendono che trovi loro un nome per poter essere comprese e addomesticate.

Nel frattempo, siamo arrivati alla settimana decisiva. Due giorni alla partenza. Cadrezzate-Melbourne solo andata. Passato-futuro senza ritorno. Eppure, non riesco ad apprezzare appieno la grandezza del cambiamento. Preparo la valigia come se fosse una partenza qualunque, solo con qualche giorno di anticipo così da avere più tempo per farmi venire in mente più roba che potrei mettere nel mucchio. Quello che poi ci starà nella valigia è un altro discorso. Forse tirerò a sorte. Francesca dice che non dovrei portare l’accappatoio: me lo compro là e guadagniamo spazio. è una tesi ragionevole, ci mediterò sopra.

Ho salutato quasi tutti, ma c’è sempre ancora l’ultimo saluto da fare perché la gente fa fatica a concepire che si possa salutare 4 o 5 giorni prima di partire, come se l’istante “prima di partire” durasse solo il giorno prima della partenza. Comunque ciao a quelli che non ho salutato e non saluterò.

Credo davvero che cambierò blog, per raccontare della mia nuova vita da marito e da emigrante in Australia e da … uno che fa un mestiere che ancora non so quale sarà. Il blog dovrebbe essere questo: philopigs.blogspot.com. E' ancora vuoto, ma conto (contiamo?) di inaugurarlo presto. Così portiamo un po’di Australia in Europa, un po’ di Italia in Australia, un po’ di passato nel presente, se mai qualcuno dei miei (nostri) amici europei fosse interessato a seguire le avventure di due filosofi neo-coniugati e pelosi in Australia.

Quanto a questo blog, non lo so…forse continuerò ad aggiornarlo di tanto in tanto, o forse rimarrà così come ora, una fotografia del mio passato, racconto di un periodo che qui si chiude per farne iniziare un altro che credo, spero, voglio sia meno carico di dolore, meno malinconico, meno vuoto. Ho tutto quello che mi serve, tutto quello che potrei desiderare, per fare in modo che quello che inizia sia molto migliore di quello che finisce.

Vi racconterò come andrà, e forse raccontarlo renderà tutto più semplice fin da subito, perché il racconto sarà come un filo che lega persone lontane e posti lontani e momenti lontani mentre tengo tutto in pugno dentro alle parole.

giovedì 26 maggio 2011

aggiornamento veloce (ma essenziale)

Per il matrimonio, ci hanno regalato un Nuovo Testamento.
Nuovo nuovissimo. Coi vangeli e tutto quanto. C'è pure l'Apocalisse, che è pur sempre meno apocalittica di queste giornate prematrimoniali.
Veramente il Nuovo Testamento l'hanno regalato solo a Francesca, che a stento ha saputo contenere il proprio entusiasmo quando ha scartato il pacchetto. Comunque credetemi che è stata bravissima a contenerlo, e uno che non la conosce non avrebbe mai detto che fosse entusiasta. Mi spiace non avere ricevuto anche io la mia copia, mi sarei accontentato anche di un testamento un po' più vecchio. Ma tant'è, a ciascuno il suo, secondo il merito. Quindi io mi tengo la bussola, lei il Nuovo Testamento, e siamo tutti contenti.

Mi spiace che manchi così poco al matrimonio, dopodomani questa pioggia di regali finirà. Spero solo che avremo foto a sufficienza per riempire tutte le cornici argentate.

Però non chiedetemi più se sono emozionato, agitato, nervoso. La risposta è NO. Non lo sono, e non so perché dovrei esserlo. E' un matrimonio, mica un esame. Sono felice e basta. Anzi no, sono felice e stanco. Perché mica basta andare lì e dire un sì. Nossignori, bisogna soddisfare parenti e genitori, fare una cosa all'altezza delle aspettative altrui, proprio come si vorrebbe che fosse il matrimonio dei propri nipoti, figli, cugini, amici. Ma siccome questo non si può fare, ci stiamo accontentando di fare le cose all'altezza delle aspettative nostre. E stiamo scoprendo che pure questo è parecchio stancante.
Comunque alla fine credo che diremo entrambi di sì. Ci sono segnali incoraggianti in questa direzione. Per esempio, entrambi vogliamo sposarci, entrambi ci amiamo (almeno stando alle dichiarazioni ufficiali di Francesca), entrambi siamo sufficientemente pelosi (anche se dopo la visita all'estestista Francesca lo è rimasta solo interiormente).

Comunque magari dopo il matrimonio, visto che cambio vita e continente, cambierò anche il blog. Nel senso che potrei abbandonare questo e trasferirmi su di un altro, dove racconto dell'Australia e della vita matrimoniale e dei fatti miei che saranno un po' di più fatti nostri (nel senso di miei e di Francesca). Però devo ancora pensarci bene, sono decisioni importanti che non posso prendere così su due piedi. Intanto mi sposo e parto per l'Australia per un periodo indeterminato, per le questioni importanti vedremo poi con calma.

venerdì 13 maggio 2011

spots

Ho ricevuto una bussola come regalo di matrimonio. Anzi, in realtà abbiamo ricevuto, ma non credo avrò il coraggio di dirlo a Francesca. Aspetto che lo scopra leggendo questo blog.
Va da sé che non so cosa farmene di una bussola, non essendo io un marinaio o un esploratore. Ma dovrebbe avere un alto valore simbolico, considerando che il bigliettino che lo accompagna dice "il matrimonio è un mare in burrasca, buona navigazione". Ecco, diciamo che se volessi fare degli auguri di matrimonio, io cercherei qualche altra frase. Comunque vedrò di usare la bussola per uscire dalla burrasca. Per intanto vado verso est, cioè di là, sempre dritto fino all'Australia. E la burrasca gliela lascio qui.

Sempre meglio di quello che ci ha detto "vi faccio tanti auguri, ma non condivido la vostra scelta. Tra qualche anno mi darete ragione".
Intanto ti do un vaffanculo, per la ragione c'è poi tempo.

Comunque a parte il matrimonio, sono contento di sposarmi e partire. Tutto insieme però: sposarmiepartire. E via..Il matrimonio non cambierà sostanzialmente la mia vita, ma partire, cambiare continente, convivere, avere altre persone attorno, cambiare lavoro, e insomma fondamentalmente cambiare vita: questo sì, cambiare vita cambia la vita.

Comunque la gente sopravvaluta il matrimonio. Ne sono sicuro. Altrimenti farebbe degli auguri più normali e non si sforzerebbe di essere originale a tutti i costi, finendo con il dirti che sarà una burrasca e che sostanzialmente ce ne pentiremo.

C'è una cosa stranissima: che l'idea di partire per l'Australia e starci prevedibilmente almeno 3 anni adesso mi pare la cosa più normale del mondo, come se stessi partendo per una vacanza...l'idea di lasciare questo posto mi pare davvero un cambiamento di poco conto...forse perché quello che mi sto portando in Australia ha più valore di tutte le cose che lascio qui. E per questo essere in Australia significherà sentirmi a casa


Esco a respirare un po' di aria di qui, a vedere un po' di posti di qui, un po' di persone di qui, per cercare di capire se davvero qualcosa di qui potrà mancarmi...oltre alla mia gatta, si intende.



martedì 10 maggio 2011

life

"Mi spiace di non essere in grado di aggiornare il blog spesso, ma forse è un buon segno. Segno che finalmente la mia vita reale ha preso il sopravvento su quella virtuale.
E poi io scrivo più spesso quando sono triste, quindi...."
(cit.)

domenica 17 aprile 2011

io?

La paura é la forza più distruttiva che esista. Può distruggere tutto quello che le passa davanti, comprese le cose costruite nel tempo con cura, pazienza, passione.
La paura può distruggere persino le cose costruite nel tempo dall'amore.
La paura ci appartiene come una parte di noi che non possiamo nascondere per troppo tempo, né tanto meno gettare via come si fa con alcuni pezzi del passato. Possiamo solo a volte far finta che non ci sia, tenerla a bada con qualcosa di più forte, sovrastarla con altre passioni. E quando ci si riesce, la paura diventa così piccola e invisibile che sembra quasi innocua. Anzi, sembra quasi scomparsa. Ma la paura non scompare, si ritira solo ad affilare gli artigli in attesa di azzannare la felicità, i sorrisi, l'amore. La paura azzanna come una bestia affamata di dolore.
La paura ci appartiene...o forse semplicemente mi appartiene, perché non so quanto sia normale questo timore che mi accompagna sempre come un sottofondo angosciante, come la musica tremolante di certe scene dei film che preludono al peggio.
Il peggio è sempre stata la mia aspettativa, il pane delle mie paure. Un "peggio" senza nome, indefinito, sfocato, ma pur sempre il peggio. Perché questa non è la paura di qualcosa o di qualcuno, no, ma è la paura del vuoto, dell'assenza, della fuga, della sparizione. La paura dello spazio vuoto che ogni cosa potrebbe lasciare se se ne andasse, se finisse. La paura della perdita. La paura cresciuta nel corso degli anni quando ogni cosa bella, prima o poi, si rompeva, finiva, o addirittura veniva soffocata sul nascere, prima ancora di compiersi. La paura dell'inafferrabilità delle cose belle così vicine a me.
E ora che la bellezza e la serenità sono qui con me, le afferro, le accarezzo, le faccio mie, cosa devo fare per non farle andare via? Per non dare a questa paura un nome ben preciso?
Può darsi che a volte le cose preziose non siano anche le più fragili? E che a volte la bellezza duri? E che la felicità resti? E' possibile che l'amore e la felicità esistano davvero, e che esistano proprio per me?
Dipende da me farli restare? E se sì, cosa devo fare per farli restare, proprio io, che non credevo neppure che potessero esistere per me? E se non dipende da me, come faccio a cancellare la paura?
Sarò all'altezza di questa felicità che mi si prospetta?

lunedì 21 marzo 2011

pacifico

Mi sposo.
Davvero, lo giuro.
Il 28 maggio.
No, non dell'anno prossimo. Questo 28 maggio. Sì, due mesi e mezzo.
E poi vado in Australia. No, non in viaggio di nozze. Vado proprio in Australia, mi trasferisco. A viverci.
Non capisco cos'abbia la gente da guardarmi con gli occhi sgranati quando comunico queste notizie.
Mi paiono cose tanto normali...sono innamorato, la persona che amo deve andare in Australia, segue che io me la sposo e vado con lei in Australia. Mi pare pacifico. Come l'oceano. Che infatti si chiama Pacifico perché è proprio in Australia, dove devo andare io.
Non so se la gente resti più scossa all'idea del matrimonio o all'idea dell'Australia. Mia nonna deve ancora riprendersi da entrambe. Ma mia nonna sarebbe sconvolta anche se le dicessi che mi trasferisco a Milano. Quindi tanto vale, allo stesso prezzo, spingermi più in là.
Tre mesi, e poi via.
Ma un matrimonio e un viaggio in Australia, che vuoi che sia? Si prepara tutto in quattro e quattr'otto.
Sono contento all'idea di sposarmi, non riesco a essere angosciato. Anche se i preparativi non sono proprio del tutto preparati. Che altrimenti non si chiamerebbero "preparativi". Non mi importa molto dei preparativi in fondo, forse perché nutro una fede cieca e immotivata nel fatto che in qualche modo si farà. Perché insomma, che lo vogliamo o no, in qualche modo il 29 maggio arriverà per tutti. E sono sicuro che lì ci guarderemo indietro e avremo un po' di nostalgia delle settimane passate e ci scapperà un mezzo sorriso al pensiero di quanto, in fin dei conti, sia stato tutto così divertente e assurdo e ironico e assolutamente inzenzato.
Dio benedica i preparativi dei matrimoni

domenica 20 marzo 2011

Ti chiederò dove hai messo il mio silenzio, e tu mi sussurrerai la risposta nell’orecchio, piano, con un soffio di voce che filtra tra le labbra socchiuse. Una risposta troppo debole per essere sentita. E tenderò l’orecchio più vicino a te, per sentirti meglio, e tu mi ripeterai la risposta e ancora io non riuscirò a sentirti. E mi farò ancora più vicino, appoggiando l’orecchio sul tuo labbro, e ti chiederò di sussurrarmelo ancora un volta. E tu di nuovo socchiuderai le labbra, e io sentirò il vento della tua voce che mi accarezza l’orecchio, e mi accorgerò solo allora che quel soffio è solo aria senza suono, che nessuna parola è mai uscita dalla tua bocca, e quel che non sentivo era quel che non poteva essere udito. E mi accorgerò allora che il mio silenzio, proprio quello di cui ti chiedevo, che il mio silenzio è lì con te, al sicuro.

giovedì 3 marzo 2011

freddi

È tornato il freddo, cane pungente polare. Penserò a questo freddo porco se mai in Australia mi dovesse capitare di avere nostalgia di questo Paese cane porco, e la malinconia lascerà il passo a un sospiro di sollievo.

E poi penserò a questo Paese che è il peggior Paese del mondo, venduto al fumo del miglior offerente. Venduto perché volontariamente vendutosi al gusto dell’apparenza scambiata per sostanza, dell’arroganza scambiata per forza, della prepotenza scambiata per potere. Paese povero di soldi e di spirito e di speranza, e povero di soldi proprio perché povero di spirito e di speranza. Paese di nulla, con una nullità al governo e una nullità all’opposizione, con il nulla più assoluto nella testa della gente che ancora si ostina a credere al nulla di questo Paese

Penserò al freddo, sì, ma non al freddo di questa sera nevosa di inizio marzo. Penserò al freddo che questo Paese mafioso perdente ammuffito ha dentro. Questo Paese che ha barattato il senso del dovere e la moralità con il moralismo superficiale e sporco e mafioso del suo marcio retroterra cattolico, di un Vaticano che lo governa in quel modo mafioso che neanche la mafia è mai stata capace di imitare, succhiando il sangue i soldi e l’intelligenza a un popolo di pecoroni infiacchiti che si fa lustro degli artisti e geni della propria storia per nascondere dietro ai loro nomi rari e luccicanti tutta l’ignoranza e l’arroganza e l’ottusità che ci rendono quel che siamo, italiani, l’etichetta più vergognosa che uno si potrebbe portare dietro.

Penserò a questo freddo glaciale in Australia, o in qualunque altra parte del mondo finirò. E mi scapperà anche un mezzo sorriso, forse per via di quella sottile sensazione di essermi messo in salvo.

mercoledì 23 febbraio 2011

dove c'era

A giugno dunque vado in Australia, ed è come cambiare vita. Il nord col sud, il giorno con la notte, l’estate con l’inverno, il là con il qua.

E la solitudine con l’amore.

Cambiare vita è la cosa migliore che potesse capitarmi. Solo che ci ho messo un bel po’ a imparare che cambiare vita non è una cosa che semplicemente può capitare, piombare sulla mia testa come un fulmine che cade dal cielo e mi dà la scossa. Per cambiare vita bisogna scegliere e buttarsi ad occhi chiusi dentro a qualcosa che ancora non si vede, che promette e minaccia insieme, che innaffia le speranze ma coltiva anche qualche paura. Ma che comunque cambia le cose, cambia la vita e la rende qualcosa di diverso. Qualcosa con più valore, su questo non ho dubbi. Insomma, “qualcosa”. Che di questi tempi è già qualcosa…mi regala un futuro dove finora c’era solo presente, mi regala il coraggio dove finora c’era solo angosciante attesa, mi regala aria fresca dove finora c’era solo una cappa soffocante di frustrazioni.

E l’amore dove c’era solitudine.

Partire è la cosa migliore che uno può fare, quando sembra che non ci sia altro da fare, che tutto quello che si doveva fare lo si sia fatto e niente ormai sia più nelle proprie mani. E invece no, io parto e tutto torna d’improvviso nelle mie mani, il mio potere su me stesso e su quello che mi capiterà. Le mie mani diventano lo strumento con cui so che dovrò modellare il mio futuro, le mie mani sono ciò con cui scaccerò i fantasmi quando penderanno sulla mia testa e proveranno a offuscarmi la vista. Con le mie mani, e solo con loro, farò tutto.

E con le mie mani, soprattutto, terrò stretto il mio amore. Proprio qui, dove c’era solitudine.

lunedì 14 febbraio 2011

aeroporti

C’è qualcosa che non va negli aeroporti. Un senso di malinconia che pervade tutto. Come se si percepisse l’assenza delle persone che ancora sono lì, con i bagagli in mano. E’ il posto dove le persone iniziano gradualmente a scomparire, prima della partenza. Credo sia questa gradualità ad atterrire. Il fatto che non si sa mai bene quale saluto, quale bacio o quale abbraccio sia l’ultimo. Che c’è sempre la possibilità di voltarsi a salutare ancora un’ultima volta, e tante più volte uno vorrebbe voltarsi quanto più lontana è la destinazione di chi parte. È come se l’istante del saluto si frazionasse in un’infinità di piccolissimi frammenti, in ognuno dei quali è racchiuso un altro sguardo, un altro abbraccio, un altro “ciao”. E il momento di salutarsi davvero sembra sempre così lontano, irreale, come se non dovesse arrivare mai, perché ci sono ancora tantissimi istanti nel mezzo. Finché a un certo punto, quasi fosse una sorpresa, ci si accorge che la persona che si stava salutando è partita davvero, che non è più qui, anche se sembrava si potesse trattenerla ancora un po’, ancora per tantissimi piccoli istanti.
Oggi c’era un’atmosfera tristissima all’aeroporto. Ma sono state due settimane pienissime, come il tempo che verrà. E presto l’aeroporto sarà di nuovo il posto dell’attesa, del ritorno, del nuovo inizio.
Dev’essere la mancanza di sonno che l’ultima notte in bianco mi ha lasciato in eredità a farmi vedere tutto un po’ più grigio di come in realtà è, e persino un po’ più grigio di questo cielo che oggi ha reso tutto ancora più difficile.
Ma le cose sono diverse da come mi sono sembrate oggi, questo lo so. Le cose sono migliori. Ora lo sono. Da un po’ di tempo lo sono.
Appena in tempo, sono migliorate, prima che io sprofondassi.
Sono qui in attesa. E questo è già qualcosa. Anzi, questa attesa per me adesso è tutto. Tutta la mia vita sta in questa breve e lunghissima attesa di un ritorno.
Perché la cosa bella è questa: che gli aeroporti sono anche i luoghi dei ritorni.

martedì 25 gennaio 2011

sfighe

Gennaio passa in fretta, talmente in fretta che è già passato. E vi dico io come andrà finire, che appena inizierà febbraio, sarà già sul punto di finire. E nessuna delle persone di cui mi auguro quotidianamente la morte accenna ad andarsene. Berlusconi non muore, il papa non muore, i vescovi sono in piena salute, Dio lo danno per morto da secoli ma secondo me certa gente non muore mai. Sono solo i migliori che se ne vanno, i peggiori restano e si moltiplicano e invadono tutto, e così ieri mattina, per dirne una, non ho trovato neanche un buco per parcheggiare in stazione.
C’è una strana coincidenza: che ogni volta che mi auguro che qualcuno muoia, quello continua a vivere. Sto iniziando a pensare che forse sono io che porto sfiga. Dovrei smetterla di lanciare maledizioni a destra e manca, perché mi sa che qui tutti se ne sbattono le palle di quello che gli auguro e continuano a vivere a morire quando fa comodo a loro.
Ho appena letto che qualcuno ha trafugato la tomba di Mike Buongiorno. Non sono sicuro sia così. È già successo una volta che sono andati al sepolcro e han scoperto che non c’era più il corpo, poi alla fine è saltato fuori che era risorto. Vedrete che è così anche con Mike, lo so già guarda, è la mia solita sfiga. Ho fatto anni ad augurarmi che quel rincoglionito crepasse, anche perché se noi italiani siamo così rincoglioniti e votiamo ancora Berlusconi molta della colpa è sua. Poi a un certo punto avevo iniziato a perdere le speranze, perché quello era di quella razza di gente che non muore mai, come i vermi o Dio o Elvis. E proprio quando inizio a perdere le speranze e a non pensarci più, quello schiatta. Non faccio in tempo ad abituarmi all’idea e a celebrare il lieto evento (che è talmente lieto che le celebrazioni durano anni), che salta fuori che il morto non c’è più. Spero davvero si tratti di un furto di qualche setta satanica, perché se lo vedo in giro di nuovo a menarsela con la storia che lui è americano e che è stato prigioniero di guerra e che Berlusconi non ha mai licenziato nessuno e che è risorto, giuro che vado alla Ruota della Fortuna e gli rubo tutte le vocali.
Bah, che sfiga che ho di questi tempi…

mercoledì 12 gennaio 2011

per dove?

Vado in Australia, per vedere cosa c’è di là, e perché so che solo là ci sarà l’unica cosa che per me ora conta. Parto tra sei mesi, questioni pratiche permettendo (passaporto, visto, eccetera, anche se non so questo “eccetera” cosa contenga). Parto forse per un mese, forse per qualche anno, forse per sempre. Può darsi che dopo un po’ trovi un lavoro qui, e debba tornare. O può darsi che il lavoro lo trovi là, e allora non tornerò. Credo ci voglia una buona dose di nichilismo e una buona dose di fede cieca in se stessi e nel futuro per gestire una situazione così precaria, indefinita, angosciante. Bisogna avere dentro tante contraddizione e gestirle tutte, senza appianarle o eliminarle, ma tenerle vive per essere pronti a sopportare tutti gli imprevisti, le sfumature, gli spigoli diversi e opposti che questa prospettiva futura contiene e che sicuramente mi aspetteranno nei prossimi mesi.
Ho tanta paura, anche se di tante cose di cui ho paura non riesco a vedere il volto. Ho paura di perdere la persona che amo per colpa della lontananza, o meglio per colpa di quello che la lontananza potrebbe comportare, e ho paura di non trovare un lavoro, o forse solo quella di non trovare un lavoro adeguato, un lavoro all’altezza delle mie aspettative. Ho paura di non poter essere indipendente. E queste sono forse le sole paure che riconosco, che vedo, che capisco. Di tutto il resto non vedo nulla, sento solo un’angoscia che ogni tanto sale fino alla gola come se ci dovessi annegare dentro. È la paura di non sapere esattamente quali sono e quali saranno le mie paure. Di non vedere davvero tutti gli aspetti e i lati oscuri di questa situazione e di non essere in grado di gestirli il giorno che mi si pareranno davanti.
Qualcuno mi sa dire, esattamente, in quale direzione si sta andando? Da che parte è, di preciso, questa Australia?

lunedì 27 dicembre 2010

adieu

Gocciola via anche quest’anno, e pace all’anima sua. Muoia pure nella mia più totale indifferenza, per espiare la colpa di avermi fatto invecchiare.
Iniziato e finito senza un lavoro preciso, ma con il regalo più bello che uno possa aspettarsi, proprio sul finire, in questi ultimi mesi che sono bastati a riempire di promesse il 2011. A farmi chiudere il capitolo con un sorriso.
Sono innamorato, e questa è l’eredità più bella del 2010. L’unica importante eredità, insieme all’anno in più che adesso ho e che un bel giorno avrà il suo peso, quando mi deciderò a credere che gli anni sono importanti, che invecchiare è brutto, che era meglio prima.
Ma non ora, quest’anno che pian piano si prosciuga alla luce del 2011 mi lascia indifferente. Perché mentre lui se ne va, il suo regalo più bello resta qui con me, e mentre lui finisce, qualcosa non smette di iniziare .
Sono innamorato, e il resto sono solo stupide vuote inutili cose che succedono, anni che passano, calendari che girano.
Sono felice, nonostante te, anno vecchio che non ce l’hai fatta a farmi invecchiare e morire con te. Passa via in silenzio e seppellisciti nel mio passato, dove per un pezzo non guarderò più, se non per sorridere di tutte le scelte e le coincidenze che mi hanno portato oggi ad avere questo sorriso che non se ne andrà più via.

martedì 21 dicembre 2010

cambio

Bisogna cambiare tutto, ora che c'è una buona ragione per farlo. Ci ho pensato molto in questi giorni, e credo che questa sia la fine di un capitolo, o di un libro, o forse di una intera enciclopedia. I miei primi 30 anni, o qualcosa del genere, anche se non ho ancora 30 anni e non credo che l'età sia un buon criterio di suddivisione della vita in periodi. Il che non vuol dire, ovviamente, che creda che l'età sia solo una convenzione e che la vera età sia solo quella "che uno si sente dentro", o robe simili.
va beh, sto divagando come al solito per evitare di arrivare al punto e di dire quello che dovrei dire.
Allora, dicevo, credo di essere arrivato al punto in cui qualcosa va chiuso e qualcos'altro va aperto. Non è che voglia spendere troppo tempo a capire cosa si stia chiudendo, non credo sia rilevante. E anche per quello che si apre, c'è poco da capire, solo da aspettare e vedere che succede, o cosa combino.
Sono troppo scostante in questi giorni, non sopporto niente e nessuno in certi momenti, e subito dopo vorrei avere tutti intorno e vorrei buttarmi in cento cose diverse. Forse dovrei preoccuparmi. In effetti sì, mi preoccupo, ma poi mi accorgo che ci sono altre cose ben più importanti di cui preoccuparmi, e lascio me stesso e il mio umore ai margini della mia considerazione. Non posso preoccuparmi di me e contemporaneamente anche delle cose che mi riguardano o mi succedono o potrebbero succedermi. Allora scelgo di preoccuparmi solo delle possibilità che si aprono e si chiudono e si nascondo e sbucano fuori a un certo punto inaspettate. E' anche divertente, perchè non ci si annoia mai, ogni giorni ho mille buoni motivi per bestemmiare e ogni tanto anche qualche buon motivo per essere fiducioso.
Comunque niente, ora vediamo. Intanto cambio vita, poi si vedrà il resto.

martedì 7 dicembre 2010

più in là..

Credo che sia il periodo più complicato della mia vita. Sto scoprendo cose che non credevo di avere, e cose che non credevo esistessero. Soprattutto, sto toccando cose che credevo sarebbero state per sempre al di fuori della mia portata. Ma eccole qui, semplici, veloci, accessibili. E complicate. È tutto nuovo, anche se sono sempre io e sono sempre qui e sono sempre alle prese con questi progetti e con le risposte che non arrivano. Ed è la prima volta.
Penso a quante contraddizioni potrebbe leggere in queste righe una persona che non è mai stata innamorata. Una persona che non riesce a capire che le cose possono essere semplici e complicate, vecchie e nuove, veloci e lente allo stesso tempo. Eppure è così ovvio.
La più grande scoeperta di questi giorni è che le cose complicate possono essere belle, piacevoli, leggere. Sì, credo che il periodo più complicato della mia vita sia anche il più felice. Vorrei che non finisse mai, ma solo perché non so cosa c’è di là. Forse c’è ancora più felicità, ancora più serenità, e per questo mentre vorrei che non finisse, lavoro perché finisca al più presto. Forse perché mentre si è innamorati non si può far altro che pensare che più avanti lungo la strada, qualunque cosa succederà, non ci potrà che essere felicità.
Vediamo che succede, mentre faccio di tutto perché succeda…

giovedì 25 novembre 2010

attese e no

Accartocciarmi sulle cose. Rinchiudermi su di loro. Una volta avrei detto su me stesso. Ora non più. Questi giorni sono pieni di cose che non vivo. Sono cose che aspetto, che spero, che temo, che prevedo. Sono pieni di una persona che occupa tutto lo spazio e vorrei non se ne andasse più, anche se non è qui. È anche lei fra le cose che aspetto. Ma anche fra le cose che ci sono.
Uno dei progetti su cui ho lavorato tutta l’estate forse non è andato a buon fine. Per ora è solo una mezza notizia. Non confermata. Di quelle che ti aiutano ad attutire il colpo della caduta mettendoci un ripiano intermedio dove atterri con meno violenza, prima di tornare a precipitare verso quella risposta che temo, che prevedo, laggiù sul fondo.
E allora devo rifugiarmi nelle cose che aspetto, che spero. E in chi aspetto e nello stesso tempo c’è.
Fa freddo qui, credo sia iniziato oggi un inverno che sarà lungo e pieno di tante cose. Credo che attraversò tutti gli stati d’animo possibili in questo inverno, dai più belli ai più brutti, dai più alti ai più bassi.
Le cose mi tradiscono, le aspettative mi tradiscono, i progetti mi tradiscono. E spesso anche le persone mi tradiscono. Forse una di loro no. Forse.
Non voglio più aspettare, sperare, temere, prevedere niente. Voglio vivere di quello che c’è, oggi, adesso. Voglio che ogni giorno sia una casellina senza nessun collegamento con quella prima o quella dopo. Voglio non avere domande in attesa di risposta. E non voglio neppure risposte. Voglio solo affermazioni, dati di fatto, cose reali, che non rispondano a nulla, che non riempiano nessun punto interrogativo e nessuna attesa, ma che esistano per se stesse e bastino a se stesse.
Voglio abbracci, carezze, cose su cui richiudermi per non avere più niente da aspettare o da temere, solo da vivere e da sentire.

domenica 21 novembre 2010

vorrei




Vorrei restare per sempre in un posto solo
per ascoltare il suono del tuo parlare
e guardare stupito il lancio, la grazia, il volo
impliciti dentro al semplice tuo camminare
e restare in silenzio al suono della tua voce
o parlare, parlare, parlare, parlarmi addosso
dimenticando il tempo troppo veloce
o nascondere in due sciocchezze che son commosso.
Vorrei cantare il canto delle tue mani,
giocare con te un eterno gioco proibito
che l' oggi restasse oggi senza domani
o domani potesse tendere all' infinito

giovedì 18 novembre 2010

eccola, forse

Se mi fermo a chiedermi cosa stia succedendo, rischio di scoprire di essere felice. Ed è un rischio che non so se posso correre di questi tempi. Ora che sto per avere delle risposte sui progetti che mi sono costati tempo e fatica, ora che inevitabilmente nuove porte mi verranno sbattute in faccia, ora che grossi cambiamenti sono possibili e forse vicini, ora che non so bene quanto durerà questo limbo d'attesa calma e angosciante. Posso permettermi di scoprire di essere felice proprio ora, con tutte le cose di cui dovrei e vorrei preoccuparmi?
Se toccasse a me scegliere di essere o non essere felice, mi sembra quasi che ora mi basterebbe allungare una mano e prendere tutta la felicità che mi serve. Ma tocca davvero a me? Non mi pare possibile, non è mai stato così, così semplice, veloce, perfetto. Ma se la felicità si può vedere anche dentro alle nuvole e alla pioggia di questo novembre più grigio del grigio, allora che sia davvero lei quella cosa che vedo qui davanti e che quasi sembra rincorrermi mentre io, chissà poi perchè, scappo via?
Io credo che forse stavolta mi lascerò prendere, che certe fughe e certi nascondigli non fanno più per me...

lunedì 15 novembre 2010

perfect

"This has been a perfect day. Everything was perfect. The perfect rain. The perfect fog. The perfect place. The perfect lake. The perfect everything.
Most of all, the person I spent this day with is perfect."

venerdì 5 novembre 2010

troppo vera

Cos'è questa fatica che è arrivata in questi ultimi tempi? Pensavo fosse colpa del lavoro, e dei progetti, e della incapacità di concretizzarli, e dell'attesa snervante di risposte.
Ma non c'entrano nulla tutte queste cose.
Questa è un'altra stanchezza.
E' la stanchezza delle parole, l'incapacità di dar loro quel senso che avevano, che consolava che rapiva che incendiava.
Spente, bagnate dall'usura, raffreddate, moribonde se non morte di già, questo sono diventate le parole. Perso per sempre, o forse per ora, ma poco importa, importa solo che sia perso quell'odore dolce di zucchero filato, l'odore caldo che ti attira verso la bancarella dei dolci al mercato, e verso le parole nei momenti di solitudine.
Questa è una sera troppo strana per essere vera, ma forse anche qui dentro ci sono parole senza più il sapore di zucchero che sono morte senza che io le abbia potute salvare. E bisogna pulire dal loro sangue, ora che è ormai freddo e secco. E' solo una sera troppo vera, ecco tutto.
Vorrei avere qui vicino persone che se ne vanno non appena non le voglio più. So bene i loro nomi e cognomi, e le vorrei qui tutte adesso, ma solo per poco.
Non so più neanche io cosa sto dicendo, ma non conta, perché sono solo parole senza sangue, senza senso.
Dev'essere quella stanchezza, lo sento. Ma non importa neanche questo, perché è una stanchezza che non si può chiamare per nome, almeno finché le parole che conoscevo non tornano, con nomi nuovi che non ho ancora conosciuto.

mercoledì 27 ottobre 2010

racconti

Sono stato rimproverato di stare trascurando il blog. È vero, lo sto trascurando. Credo che sia perché non ho tempo per pensare e scrivere di altre cose che non siano bioetica e lavoro ed eccetera. L’eccetera soprattutto. Ma magari no, magari non è il tempo che manca. Il tempo lo si trova sempre, se si vuole, ce n’è dappertutto. Credo che sia vera e propria e banale e imbarazzante mancanza di cose da dire. Non ne ho. Non ho cose da dire. Al limite ne avrei da raccontare, e molte, perché di cose ne succedono, ne faccio, ne preparo, ne progetto. Ecco sì, soprattutto quelle che progetto, dio quante sono. Ma anche quelle che faccio, madonna mia quante sono. Quelle che succedono sono al terzo posto, ma gesù quante sono anche loro. Solo che io qui dentro non ho mai “raccontato” nulla, ecco. Cioè, a volte sì, ma molto raramente. Questo è un ripostiglio di pensieri, non di racconti, Di cose astratte, finte, fumose, irreali, facili. Di cose che dovrei avere il tempo di pensare nei momenti in cui non penso alle cose che succedono, che faccio, che preparo, che progetto. Ma questo tempo ora non c’è più. Io sono diventato le cose che mi succedono e che faccio e che preparo e che progetto. Io non ci sono più. E questo potrebbe essere un bene, non lo so. Vedremo. Solo che non lascia spazio per altro se non per le cose dovrei raccontare. Raccontare quello che faccio, che succede, e insomma il solito elenco di prima. Ma non credo sia molto interessante, anche se a me un po’ interessa perché un po’ quello che mi succede, che faccio ecc. mi condiziona la vita. Può darsi che mi metterò a raccontarlo qui dentro. Ma può anche darsi di no. Sarebbe un cambiamento abbastanza radicale, e devo ancora capire se sono radicale abbastanza. Ne riparleremo, io e io. Me ne riparlerò

sabato 16 ottobre 2010

nuovo

..e che vi devo dire...
Alcune cose sono cambiate.
Alcune cose che c'erano non ci sono più.
Alcune cose che non c'erano, ora ci sono.
Alcune cose continuano a esserci, ma diverse da com'erano. Tanto che non capisco più se siano sempre loro, o se siano altre cose con solo lo stesso nome.
Alcune cose, invece, hanno cambiato solo il nome, ma sono sempre loro e sempre uguali a com'erano.
Ma quello cui dare valore, che cos'è? E' quello che resta, quello che cambia o quello che se ne va? O il nuovo che arriva? Forse il valore è una cosa indipendente. Alcune cose sono importanti e vitali anche se durano un attimo, se arrivano e passano via quasi senza neanche accorgertene. E forse altre non contano nulla anche se sono sempre lì e ti accompagnano sempre. O forse tutto il valore sta solo nelle cose nuove, perchè sono le uniche che ti danno la sensazione, o l'illusione (fa lo stesso), che il mondo e la tua vita vadano avanti e vadano in una direzione ben precisa, che c'è anche se non la vedi.
E allora aspettiamo il nuovo...

venerdì 24 settembre 2010

il tempo non c'è

Il tempo non c'è, per fermarsi a scrivere e pensare.
Il tempo se n'è andato, e mi ha lasciato solo. Una volta, mi ricordo bene, il tempo lo possedevo, lo avevo tutto per me, ero io il suo padrone. Non è passato poi tanto tempo, solo fino a pochi mesi fa scrivevo e pensavo molto di più, non ogni giorno, ma quasi. Ma adesso quel tempo è passato, e quello che non è passato se ne è andato, e non sono più padrone del tempo, neanche di una misera parte.
Non fa niente, farò senza.
Senza il tempo, la vita fila via lo stesso, con la sola differenza che non me ne accorgo. Ma senza tempo si vive lo stesso, è questo che conta.
Mi fanno incazzare molte cose, molte persone. Altre cose mi fanno stare bene, nonostante tutto. E persino delle persone mi fanno stare bene, sì, proprio a me, che avevo perso fiducia nelle persone, adesso scopro che il bene può arrivare anche da loro, non solo dai gatti dai libri e dai ricordi.
Le persone, proprio loro...chi l'avrebbe mai detto?

mercoledì 8 settembre 2010

tecnicamente

Allora se ho capito bene è successo così: il PD ha invitato alla propria festa a Torino Schifani. Va bene, uno alle proprie feste invita chi vuole.
Ora, Schifani. Se scrivo che è un mafioso poi magari uno legge e mi denuncia. Quindi non scrivo che Schifani è un mafioso. Tecnicamente. Schifani è solo uno che ha fatto consulenza a un mafioso per consentirgli di riciclare denaro di provenienza mafiosa senza essere beccato dalla guardia di finanza. Quindi tecnicamente Schifani non è un mafioso. Schifani è solo uno che dopo aver fatto consulenza a questo mafioso in un affare per cui il mafioso è stato condannato, si è iscritto al partito (Forza Italia) fondato da un tecnicamente mafioso (Dell'Utri) e da un tecnicamente non mafioso (Berlusconi). Non scrivo che Berlusconi è mafioso per lo stesso motivo prima. Comunque, Schifani adesso è il presidente tecnicamente non mafioso del Senato.
Che fa il PD? Lo invita alla propria festa. Perché? Non so, contentii loro... Però sorprendentemte gli elettori del PD, anziché accogliere con applausi e ovazioni il tecnicamente non mafioso Schifani, lo fischiano e lo invitano a levare le tende. Il PD è sgomento e condanna la cosa. Non si capacita della mancanza di spirito democratico dei propri elettori. Il PD non capisce. Il PD è un partito aperto. Il PD ama il confronto. Il PD rispetta l'avversario politico. Guccini lo diceva bene, il PD "si dichiara di sinistra e democratico, però amico di tutti, perché non si sa mai, e poi anche chi è di destra ha i suoi pregi e gli è simpatico".
L'episodio è molto simile a quello successo qualche giorno fa a Como con il tecnicamente (perché condannato) mafioso Dell'Utri, costretto a levare le tende dalla gente, che stranamente di accogliere con applausi e tappeti rossi un mafioso non ne voleva sapere. Anche lì gli organizzatori non si capacitavano, chiedevano perché la polizia non intervenisse a bloccare i contestatori, erano indignati da questa mancanza di rispetto.
I due episodi, a loro volta, sono molto simili a quelli successi oggi, sempre alla festa del PD a Torino, con il sindacalista della Cisl che è stato "invitato" a suon di fischi e fumogeni a levare le tende. Il PD condanna, Vendola condanna, tutti condannano. Il popolo non ha rispetto, non è democratico, non accetta il confronto.

L'idea che in questi casi la gente possa aver ragione non li sfiora minimamente. Loro non si capacitano. Non comprendono. Ma che loro non comprendano era già evidente, senza bisogno di questi episodi. Il Paese affonda da una parte, loro vivacchiano dall'altra. Per fortuna che succedono ancora cose come queste, per fortuna che c'è gente che fischia, che si indigna, che se potesse prenderebbe a randellate certi personaggi. Lo diceva bene quell'attore italiano di cui non ricordo il nome, premiato a Cannes qualche mese fa: gli italiani sono migliori di chi lo governa. Io non ci credevo, ma questi fatti un po' di speranza me la danno.
Io spero che prima o poi qualcuno di questi , se non con un duomo di milano magari con una mole antonelliana, che è anche più appuntita, riesca a fare comprendere a questi più o meno tecnicamente mafiosi, più o meno tecnicamente corrotti, più o meno tecnicamente politici, che cosa la gente intende con "rispetto" e "democrazia". Che applaudire chi ti ruba i soldi sotto gli occhi per costruirsi la sua stanza di potere dorata e vivacchiare in mezzo a puttane, mafiosi, vescovi, cocaina, festini, mentre tu guadagni 500 euro al mese, con un lavoro che oggi c'è e domani no, o mentre ricevi un calcio in culo dall'università devastata dai tagli e intanto con i soldi pubblici si finanziano i meeting di CL, o mentre aspetti per anni e anni di avere una cattedra nella scuola pubblica dove per risparmiare sugli insegnanti si fanno classi di 35 persone ma il governo dà 800 000 euro alla Libera Scuola Padana di Bossi, che applaudire in questi casi non è segno di rispetto o di democrazia, ma sarebbe solo passiva accettazione di una schiavitù cui ci stanno tacitamente condannando. E che siamo arrivati a un punto in cui il dialogo non funziona più, perché chi comanda è diventato volontariamente sordo, ed è contento di esserlo.
Questa classe politica, con tutto il contorno di industriali, mafiosi, cardinali, giornalisti, non potrà mai cambiare,gli ultimi fatti lo dimostrano, e il PD che invita il non tecnicamente mafioso Schifani e si sorprende dei fischi ne è l'emblema. Le loro parole sono autoreferenziali, appartengono a un linguaggio artificiale che ha significato solo per loro, e ha significato per loro proprio nella misura in cui non significa niente per le persone che vivono oggi in un Paese allo sfascio e, a differenza dei politici "rispettosi" e "democratici", lo sfascio lo pagano sulla prorpia pelle. Parlando questo linguaggio che assomiglia a quello della gente reale solo nei suoni, ma non nei significati, si mettono al sicuro nel proprio mondo dove le idee, le proteste, i valori non possono filtrare. Non c'è proprio via d'uscita, se non lasciarli nel loro mondo, finchè dura,e provare a scappare da questo Paese schifoso. Perchè quando neppure il linguaggio funziona più, quando i significati si perdono nelle chiacchiere e nei giochi di parole di abili manovratori che si fan chiamare "politici", o "giornalisti", o "industriali", allora la situazione è pericolosa, si è vicini a un punto critico in cui i fatti prendono il posto delle parole. E non necessariamente questo è un male, se serve a fare piazza pulita da un po' di merda.

Solo un'ultima precisazione. Non scrivo che Schifani e Berlusconi sono mafiosi perché, tecnicamente, non sono mafiosi. Tecnicamente vuol dire che non sono stati condannati per mafia. Se questo sia sufficiente a rendere non mafiosa una persona è una questione di parole, su cui ci si può sempre mettere d'accordo, e sicuramente Schifani Dell'Utri PD ecc. troveranno un modo di andare d'accordo che non è il modo che troverebbe la gente normale. Su questa faccenda, comunque, Paolo Borsellino aveva le idee chiare: "C'è un equivoco di fondo. Si dice che il politico che ha avuto frequentazioni mafiose, se non viene giudicato colpevole dalla magistratura, è un uomo onesto. NO! La magistratura può fare solo accertamenti di carattere giudiziario. Le istituzioni hanno il dovere di estromettere gli uomini politici vicini alla mafia, per essere oneste e apparire tali". Evidentemente anche queste parole non valgono più, han perso significato. E senza le parole non si può far nulla, o quasi...

giovedì 2 settembre 2010

stallo

Stallo.
Dall'ostello allo stallo.
Passerà, come tutti gli stalli.
Aspetto. In silenzio, per forza: stallano anche le parole.
Aspetto anche loro. Arriveranno. Certo non un giovedi 2 settembre
Arriveranno un altro giorno, magari sul finire della settimana, o dell'estate.
Saranno parole nuove, fresche, vive, come tutto quello che viene dopo ogni stallo.
Aspettiamo...

martedì 24 agosto 2010

scado

Son tornato, se qualcuno se lo stava chiedendo. Ma non ora, sono tornato tre giorni fa. Cioè, è un po' come non essere neanche andato via. Giusto il tempo di qualche passeggiata sui monti, anzi sotto.
Ad ogni modo, il lavoro incombe anche ad agosto, soprattutto se hai un lavoro non ben definito, di quelli che non iniziano mai per davvero e non finiscono mai per davvero, senza orari, ferie, straordinari, quasi persino senza soldi. E le scadenze incombono, ogni giorni ne salta fuori una, per il lavoro o per i miei progetti, e anche per la scadenza dello yogurt nel frigo. Lo yogurt tende a scadere ogni volta che sei a casa da solo, perché svuoti giorno dopo giorno il frigorifero senza seguire le date di scadenza e chiederti cosa andrebbe mangiato per primo. Non mi importa, molta roba è buona anche da scaduta, a parte i progetti di ricerca e gli yogurt.
Non credo che yogurt si scriva così peraltro. Ci vorrà come minimo un'acca, ma non saprei dire dove. Mi informerò, non appena ne avrò voglia.
Ora no che devo dormire, e la notte corre più veloce del mio sonno, tanto che non mi è molto chiaro il senso di quest'ultima frase. Quel che è certo è che anche la notte scade, e tra poco non sarà più buona per nulla. E allora è meglio se vado, prima che diventi acida, come certe notti che so io.

martedì 17 agosto 2010

attimo

Un respiro..datemi un attimo, solo un attimo. Mondo dammi un attimo. Stacco la spina due giorni, forse tre. Non ci sarò per nessuno, ma tanto poi alla fine ci sarò lo stesso.
Ma voglio almeno l'illusione di sbattere il mondo fuori dalla porta, adesso, e urlargli di non tornare mai più.
Ecco, fatto, così..molto meglio ora..via, fuori tutti da questa porta, questo è il mio attimo, brevissimo ma mio.
Vado.

martedì 10 agosto 2010

piogge

È questa, è lei la notte delle stelle cadenti. È la notte di tutti, perchè non esiste una sola persona, né è mai esistita, senza dei desideri. Anche quando sono flebili speranze o illusioni, utopie o sogni, è pur sempre per questo tendere a ciò che ancora non c’è che siamo quel che siamo. Anzi, forse è proprio quello che ancora non si ha, più che quello che si ha, a definire una persona, a darle la sua identità. Forse è da quello che uno desidera, più che da quello che ha già fatto o da quello che già possiede, che si può capire chi è davvero una persona. Io ho una lista di desideri che non finisce più, e forse per questo faccio fatica a capire chi davvero sono. Troppe cose diverse ancora da raggiungere, e niente che le tenga insieme. Tutto questo è bellissimo e angosciante al tempo stesso. È un disordine e una tensione che forse non si appianeranno mai. Se dovessi trovare una formula per questo miscuglio, direi che il desiderio che vorrei affidare alle stelle cadenti di questa notte è il desiderio di avere un futuro, di sapere che c’è qualcosa nel domani che riuscirà a dare un senso a questo presente. E cosa è questo, se non il desiderio di una, precisa, in scalfibile, solida identità?
Ma è troppo grande questo desiderio per essere affidato a una pioggia di stelle cadenti. Non si può fare altro che spezzarlo, frantumarlo in una miriade di piccoli desideri, uno per ogni stella, e sperare che tutti insieme abbiano un senso, un comune denominatore, qualcosa che assomigli a un futuro in cui riconoscermi, in cui gettarmi. Ci sono abbastanza stelle per tutto questo? Cadranno tutte in queste notti, ora che ho davvero bisogno di loro?

mercoledì 4 agosto 2010

più

E via, che si riprende. Taglia, cuci, copia, incolla, aggiungi, cerca. Insomma, lavora. Terza versione del progetto, ma bisogna superare la crisi di rigetto.

Non sopporto le rime non volute, ma non ho voglia di cercare altre parole, devo tenere i neuroni freschi per il progetto.
Ho la nausea, in senso metaforico e anche un po' non metaforico. Voglio finire, voglio solo finire. Non ho spazio per nient'altro dentro alla testa, e neppure dentro a nessun altra parte, se mai c'è un po' di interiorità anche nelle altre parti.

Lo vedete come parlo? Uno si riduce male, a scrivere e riscrivere la stessa cosa fino a bruciarsi tutta la fantasia.

Non ne posso più. ok? Non ne posso più. Voglio fare uno di quei lavori dove a un certo punto finisci e non ci pensi più, dove a un certo punto vai in vacanza e non ci pensi più, dove poi a un certo punto persino ti pagano e non ci pensi più.

Ecco sì, voglio non pensarci più. E' chiedere troppo?? Per intanto devo andare a pensarci, e la giornata non poteva iniziare in modo più pesante

mercoledì 28 luglio 2010

retro

Queste giornate assomigliano tanto a un momento di preparazione per qualcosa. Anzi no, lo sono per davvero. C'è qualcosa in funzione di cui faccio ogni cosa, a cui dedico ogni pensiero della giornata. Ma cosa succede se poi questo qualcosa non arriva? Cosa resta di questo periodo? Mi chiedo che senso avranno fra un anno questi mesi, che senso avrà quest'estate, e se un senso ce l'avrà, in retrospettiva.
Vedremo.
"Vedremo", sì. E' una delle parole che uso più spesso negli ultimi mesi. Ma non è curiosità, è solo angoscia. E' ansia. Vedremo. Forse è una minaccia. Vedremo. Ma bisognerà vedere in retrospettiva, e non so cosa avrò visto, tra un anno. Dev'essere proprio angoscia, sì.

Giorni caldi, poi giorni ventosi, tra poco pioggia fresca e a lungo attesa. E un'estate che ho visto passare quasi solo attraverso la mia finestra. Ma forse riesco ad afferrarne ancora un pezzo, a tenerlo stretto e giocarci e godermelo ora, almeno per essere sicuri che tra un anno, in retrospettiva, qualunque cosa succederà, un senso in quest'estate ci sarà stato. Qualcosa che non vedrò, ma che almeno posso dire di vedere ora.
Ora provo a guardare.

giovedì 22 luglio 2010

animalia

La mia gatta si è terrorizzata per questo temporale e per questo fulmine che dev’essere caduto nel mio giardino. Anche io mi sono terrorizzato, per tutt’altri motivi, ma quel che conta è che la mia gatta e io siamo in sintonia. E’ solo che lei si rifugia sotto qualcosa, un letto o un tavolo o una macchina, e questo pare tranquillizzarla, anche se non risponde e non miagola e non fa niente se non star ferma sudando fredda e pregando che il temporale passi. Sì la mia gatta prega, lo capisco dai suoi occhi, e sono sicuro che ha un dio meno stronzo del mio perché il temporale per lei alla fine passa sempre. Il mio no, inizia e poi riinizia e poi ririninizia, non cambia niente neppure se mi nascondo sotto al letto.
Il dio della mia gatta è più buono, più disponibile, e io sono molto contento per lei, d’accordo, ma a me non ne viene in tasca nulla, quello è un dio privato tutto suo che esiste solo per i gatti. E noi dobbiamo accontentarci di quel che abbiamo, tutt’al più possiamo condividerlo con altre specie animali, sempre a quattro zampi, ma comunque non dei dio gatti.

venerdì 16 luglio 2010

sete

Avrei bisogno di una ventata di aria fresca. Di quelle che arrivano inaspettate a cambiarti la vita, o anche solo la serata, va bene lo stesso. L'aspetto.
Aspetto cose inaspettate. Una persona, una notizia, un temporale, dipende dal momento.

Questa dev'essere senz'altro l'estate più calda che si ricordi a memoria d'uomo. Prima magari però faceva ancora più caldo. Il mio problema è che vado in controtendenza: più fa caldo e più mi viene voglia di mangiare. E di bere, che non è molto in controtendenza, ma tra tutte le cose che uno può fare, di certo è quella che disseta di più.
Ecco, vado per una birra.
Va...

domenica 11 luglio 2010

17

Ci sarà un momento in cui, in un modo o nell'altro, questa roba finirà? Passo i weekend di luglio a scrivere progetti che forse nessuno prenderà in considerazione. ALterno momenti di angoscia pura a momenti di semplice sconforto. Lo sconforto è la parte migliore perchè mi fa buttare sul letto sfinito, e almeno mi riposo e mi sento quasi tranquillo. Poi però arriva subito l'angoscia che mi fa schizzare su dal letto come una molla e mi spinge a rimettermi freneticamente a pigiare su questi tasti per far comparire là davanti frasi che possano sembrare sensate per questo ipotetico mister x che magari fra un po' se le leggerà e deciderà del mio futuro, accademico e non solo.
Comunque sì, arriverà un momento in cui tutto questo finirà, in un modo nell'altro, per forza. Benedetta scadenza per la consegna, che sei così lontana se mi chiedo quando tutto questo finirà, e così vicina se penso a tutto quello che c'è ancora da fare e a tutte le persone che dovrò ancora contattare e supplicare di approvare questo cavolo di progetto che forse inizia a non avere più senso neppure per me.
Non mi era mai capitato prima di parlare con un 17 agosto, sarà il caso che spenga tutto ora e metta il cervello in stand by, on black out, o in qualche altra roba inglese che non significhi starsene qui a rispondere alle richieste assurde di questo concorso.
E comunque, secondo me, forza Spagna.
Vamos

martedì 6 luglio 2010

giovedì 1 luglio 2010

Nuove teorie morali

Ho sviluppato nelle ultime 6-7 ore un'interessante posizione morale favorevole all'eutanasia attiva involontaria contro gli stronzi.
La posizione è razionalmente giustificata.
Lo stronzo per definizione diminuisce la quantità di benessere nel mondo, e in quanto tale deve essere messo nelle condizioni di non nuocere. Tra i vari modi in cui lo stronzo può essere messo nelle condizioni di non nuocere, la morte è senz'altro il migliore perché arreca il maggior grado di soddisfazione a quanti sono vittima dello stronzo in questione, in maniera neanche lontanamente paragonabile al grado di benessere che allo stronzo deriva dal fatto di essere vivo anziché morto.
Quindi gli stronzi vanno eliminati.
Come eliminarli? Ora, in quanto stronzi, abbiamo detto che la morte è la soluzione moralmente migliore, a prescindere dalla volontà espressa dallo stronzo (quindi può essere involontaria) ma in quanto pur sempre esseri senzienti, la morte deve arrecare loro la minor sofferenza fisica e psichica possibile. Quindi il semplice omicidio dello stronzo non è moralmente lecito. Per questo l'opzione corretta è l'eutanasia, la giusta morte (in quanto data allo stronzo) praticata in modo indolore (in quanto data a un essere senziente), che oltre che (come già detto) involontaria deve essere attiva, perché lo stronzo non muore mai di per sè, naturalmente, ma ha bisogno dell'aiutino.
Di conseguenza, l'eutanasia attiva involontaria praticata sugli stronzi è un dovere morale razionalmente giustificato.

mercoledì 30 giugno 2010

grilli

Grilli. Fuori, per i fatti loro. Un suono unico che sono tanti suoni insieme, anzi tanti suoni uno dentro l'altro, o dopo l'altro, e comunque un suono. Come una vibrazione continua, ma non monotona, anche se sempre uguale. Grilli, insomma. Dal prato e dal bosco e da tutto quello che è fuori e filtra attraverso una finestra spalancata, sì, ma non per tutto e per tutti. Di certo spalancata per il buio, di certo spalancata per i grilli. E forse per nient'altro, a meno che non sia fatto di pensiero. A meno che non siano grilli. Come l'estate scorsa, e come quella prima. E quella prima ancora, sì, soprattutto quella. I grilli di quell'estate erano diversi, che ancora me li ricordo, e mi tornano a uno a una quelle parole insieme al loro suono, che è lo stesso suono di adesso. Ma è tutta un'altra storia. Davvero,tutt'altro. Forse solo una copia. E se lo è, è come tutte le copie, una brutta copia. Perché non è lei. Solo cose che le si aggrappano. Disperate.
Non si capisce niente, lo so, e va bene così, per me va bene così. Perché tanto è così, o niente.

lunedì 28 giugno 2010

change

Non escludo che questo mio non avere niente da dire sia dovuto al fatto che avrei troppe cose da dire.
Credo anzi di avere cose da dire su:
vita
lavoro
mia gatta
amore
fortuna
futuro
dio
persone varie

Me ne sono andato per il weekend, che all'improvviso è finito e mi sono ritrovato qui. Di nuovo.
Il weekend è stato bello, il ritorno meno, il risveglio di stamattina tragico. Cioè, normalmente tragico, niente di particolare, solo acuito dal confronto con i 3 giorni precedenti.
La normalità non andrebbe mai abbandonata, perché si rischia di ritrovarla un po' peggiore e anormale di quanto fosse. Bisognerebbe fare una vita più normale, ecco tutto.
Abituarsi a quel che c'è, per evitare di ricaderci dentro.

Un giorno sono sicuro che avrò una visione diversa su tutto quanto. Credo di avercela già avuta per qualche tempo in passato. Ma adesso i motivi che avevo non ci sono più.

Ma bisogna vedere la vita in un modo diverso, non c'è dubbio, altrimenti da grande rischio di diventare troppo simile a me stesso.
E bisogna scrivere cose più allegre, non c'è dubbio.
Ci penserò.

domenica 20 giugno 2010

va..

Fortuna che non sono uno di quelli che usa il proprio compleanno per fare dei bilanci, perché sarebbe tragica. L'ultimo anno è stato uno schifo, quasi quanto quello prima, e le prospettive sul prossimo non sono incoraggianti. Quindi direi che è meglio evitare sia i bilanci che le previsioni. Sì sì, lasciamo proprio perdere.
Mi do cinque stellette solo sulla salute, va...per il resto lasciamo perdere, dalle tre in giù. Rimandiamo il tutto a capodanno, va...sempre che le cose nel frattempo non peggiorino.

Ci sono molti modi in cui le cose potrebbero andar male. La vita è così straordinariamente e meravigliosamente varia, che non sai mai in quale direzione le cose peggioreranno. A parte ovviamente quelle cose brutte che sono talmente brutte che non puoi far altro che aspettartele e che inevitabilmente succedono benché tu abbia pensato che non sarebbe stato possibile che le cose sarebbero andate proprio così. O fossero andate. L'italiano non dovrebbe avere i congiuntivi, ecco la verità.

Mondo cane.

Comunque, se fossi uno di quelli che usa i compleanno per fare progetti previsioni propositi o futurismi simili, mi chiederei dove mai sarò e come e con chi e quando festeggerò i 30 anni. Fortuna che non sono uno di quelli.

Anche se a dire il vero sul quando potrei già far fin da ora qualche stima attendibile, con un buon calendario e affidandomi sul pur sempre fallibile metodo induttivo

Me ne vado a dormire, che domani comincio il 30mo anno, e non voglio partire già stanco.

venerdì 18 giugno 2010

To

Me ne vado a Torino. Poche città in Italia mi piacciono più di Torino. Di sicuro Firenze. Venezia non so. Venezia è più bella, sì, ma Torino mi piace di più, perché se la mena di meno, c'è meno acqua e non c'è la puzza di mare.
Se mai da grande dovesse passarmi per la testa la malaugurata idea di abitare in città, dopo aver fatto una visita allo psichiatra, di sicuro sceglierei di abitare a Torino, anche se è un discorso che non ha senso perchè la scelta della città è una conseguenza di altri fattori, come il lavoro o l'amore o robe così, e quindi non è una scelta.
Vabbè, allora non scelgo, ma almeno lo spero.
Magari allora a Torino ci vado a vivere quando andrò in pensione, cioè mai. O forse prima di mai, ma comunque quando sarò troppo vecchio per godermela.
E insomma, per intanto mi accontento di andarmene oggi a Torino, per i prossimi 50 anni vedremo domani

domenica 13 giugno 2010

sabato 12 giugno 2010

no.
no no no no no.
no.

Ora mi serve:
un film di Woody Allen
Una pioggia torrenziale che dura tutto il giorno
un dio, uno qualunque
un letto più morbido del mio
un altro posto, un altro tempo, un'altra vita
e basta.

sabato 5 giugno 2010

delle due

A volte è davvero troppo difficile.
Tutto quanto è troppo difficile.
Comportarsi, essere, vivere secondo le proprie aspettative.
E anche avere aspettative commisurate a ciò che si è e si vive.
Una cosa rincorre l'altra, la raggiunge, la supera, e l'altra allora rincorre la prima, la raggiunge, la supera, e via così.
Via così, e via e poi ancora via.
Non combaciano, non si placano, non si prendono per mano mai.
Le aspettative e la vita, vanno sempre a velocità diverse.
Mondo cane.
Se non avessi aspettative così grandi forse non riuscirei a sopportare l'aridità del presente.
Se non avessi aspettative così grandi forse riuscirei a sopportare l'aridità del presente.
Una cosa e la sua negazione possono essere entrambe vere?
No, io sono razionale, anzi io sono troppo razionale, per fortuna. Quindi so che non possono esserlo. Quindi so che una delle due è vera, e solo una. Ma se così fosse sarebbe troppo semplice. No, non è così che stanno le cose. E' che una delle due devo renderla vera.
Ma le mie aspettative non se ne vanno. E questo presente arido neppure.
E io, in quale delle due parti abito? Sono il mio presente, o sono le mie aspettative al di là del presente?
Delle due l'una.
L'una.
Delle due.
Ma devo sceglierla, devo scoprirla, o che altro?
C'è, o aspetta che io decida?
Se mi capissi, se capissi quel che dico e che scrivo, forse tutto sarebbe più semplice

lunedì 31 maggio 2010

mao

A volte mi chiedo se la mia gatta sia consapevole della sua indiscutibile superiorità rispetto al resto delle creature viventi. La superiorità della mia gatta è duplice: in quanto gatta, è superiore a tutte le altre specie viventi, e in quanto la "mia gatta", è superiore al resto dei normali gatti, che devono accontentarsi della loro semplice superiorità.
Il sospetto che lei ne sia consapevole mi viene ogni volta che la vedo immobile a fissare i cani del vicino che le sbraitano addosso al di là della rete. La mia gatta non scappa, no, lei li osserva. Come se il loro ringhio non la riguardasse. Li osserva e pare che li studi, perché la mia gatta è curiosa di sapere da dove arrivi tutta quella rabbia e, insomma, perchè i cani del vicino si incazzino tanto. Dopo un po' la mia gatta assume quell'aria rassegnata di chi è costretto a fare i conti con individui non all'altezza del suo bon ton, e non può trattenere uno sguardo compassionevole verso di loro. Che nel frattempo continuano a sbraitare, irritati dal fatto che la mia gatta non risponda alla provocazione. Ed è in quello sguardo compassionevole che io vedo il segno della lucida consapevolezza della mia gatta.
Come quando, per esempio, succede qualcosa che la spaventa, tipo uno starnuto o il rumore della porta che si apre. La mia gatta allora ha un sussulto, fa un piccolo scatto, due o tre passi, non di più, che scuotono la sua compostezza. Ma appena fatti quei due o tre passi, la mia gatta cerca subito di rimettersi nella posizione in cui era, cerca di apparire indifferente, come se fosse stata presa da un senso di vergogna per aver macchiato la nobiltà delle sue pose. Mi ricordo che quando si era tagliata la zampa e si è fatta un paio di giorni mogia mogia sul divano, cose che peraltro fa anche quando non si taglia la zampa, ho provato a metterle del disinfettante sulla ferita. Quando è caduta la prima goccia, ha fatto un salto di un metro e in due secondi è filata via. Dev'essere stato un bruciore infernale, ma anche lì, dopo due o tre passi, appena si è resa conto della situazione e ha ripreso il controllo dei suoi nervi, si è rimessa nella sua posa indifferente, guardandosi intorno con gli occhi socchiusi come se niente fosse successo, come se quel bruciore non ci fosse mai stato. Ecco, secondo me anche lì la mia gatta era consapevole, consapevole della propria indiscussa nobiltà e anche dell'immagine che trasmette.
Ora mettiamoci tutti a fissare la foto della mia gatta, e vediamo se riusciamo a impararne qualcosa.

venerdì 28 maggio 2010

Bruce Springsteen - THE PROMISE (coi sottotitoli italiani)

E' proprio vero che alcune cose le annusi nell'aria prima che accadano. Non so spiegarmelo, ma non è niente di paranormale, e non c'entra nessun sesto senso. E' semplicemente che certe cose sono realmente nell'aria, prima che si materializzano qui a terra.E quasi sempre questo è vero per le cose brutte, che le fiuti con giorni e a volte con mesi di anticipo. E l'attesa tra quando le fiuti e quando succedono serve solo a creare illusioni. Illusioni che ti possa essere sbagliato, illusioni che una volta tanto una cosa bella inaspettatamente succeda al posto di una brutta di cui hai il sentore, illusioni che ci possa essere qualcosa subito dopo che trasformi la cosa brutta in una cosa bella.
Illusioni.
A volte sembra tutto quel che c'è.
Illusioni.
Sono tutto quel che c'è. Anche l'idea che sia solo apparenza è un'illusione, la più grande di tutte.
Non c'è nessuna apparenza, l'esistenza delle illusioni è l'unica cosa che non è illusione.

lunedì 24 maggio 2010

salite

Prendiamo il calcio, per esempio. Mica sempre vince il più forte. Ci sono fattori non preventivabili che possono decidere come andranno le cose, tipo rimpalli, infortuni, rigori non visti, erba scivolosa. Eccetera. D'accordo, credo si debba smetterla con questo vezzo pseudo-letterario di usare il calcio come metafora della vita o cose simili. Infatti non sto dicendo che sia una metafora, è solo un esempio di come a volte le cose se ne vanno per conto loro.
Nel ciclismo, per esempio, è già diverso. Soprattutto dove ci sono le salite, quando il gioco di squadra conta poco e ognuno deve arrivare in cima pedalando con le sue gambe. Ora, concesso che i ciclisti non si dopino, ci sono poche storie: chi è più forte pedala di più, chi pedala di più vince, e quello che pedala un pochino meno arriva secondo, e quello che pedala un pochino meno ancora arriva terzo, e così via. Senza trucco e senza inganno. Limpido. Non è che c'è l'imprevisto per cui uno, anche se è più forte, non vince, o quello scarso arriva prima di quello che pedala più di lui.
Cosa voglio dire con tutto questo? Niente, niente, non voglio dire niente. Si era detto niente metafore, quindi non ne traggo nessuna conclusione.
Ho solo presentato dei dati di fatto.
Quello che gioca meglio a pallone potrebbe anche perdere, ma quello che pedala di più no, lui non perde. Ok, e allora?
No, niente, allora niente. Potrei continuare all'infinito a fare esempi, ma non è che ne debba seguire per forza qualcosa.
Per esempio, io faccio delle cose, e cerco di farle bene, come se fossi uno che pedala più degli altri, se solo fosse concesso fare metafore che però abbiamo detto che non si fanno. Oppure come uno che prova a giocare a calcio meglio degli altri, ma così, tanto per dire, mica che voglio davvero fare dei paragoni. Però se potessi fare delle metafore direi che è più simile al calcio che al ciclismo. Cioè, puoi pedalare quanto vuoi, ma mica è detto che vinci. A volte non vinci neppure se corri da solo. Perchè ti fermi prima, o perchè arrivi fino in fondo, sì, ma non c'è nessuno a vederti mentre tagli un traguardo che non c'è, nessuno è lì a prendere atto della tua vittorie, e questo significa che non c'è stata nessuna vittoria, e che anzi forse non c'era mai stata nessuna gara. E tu stavi correndo come un donchisciotte qualunque che non ha capito che il mondo stava andando da un'altra parte, che forse sei arrivato primo in cima alla salita, sì, ma hai preso la montagna sbagliata.
Che vuol dire tutto ciò? Niente, niente, non vuol dire niente. E' solo un altro esempio, vale per se stesso e per nient'altro. Cioè, per me stesso e per nient'altro. Non è che ne debba trarre per forza un insegnamento. E' così, un dato di fatto, ne prendo atto e amen.

mercoledì 19 maggio 2010

che

e insomma, chevvuoi, si va avanti così, un passo alla volta. Che due sarebbero troppi, e più avanti la luce è poca e non si saprebbe bene dove si sta mettendo il piede. Anche se, nella peggiore delle ipotesi, dicono che comunque porti fortuna. Ma un passo alla volta è decisamente più sicuro. Passettini brevi, comunque, diciamo mezzo passo. Metti il piede lì, e poi aspetta di vedere cosa succede prima di muovere l'altro. Che è sempre bene tenersi aperta la possibilità di tornare indietro.

E insomma, comunque, pian piano anche l'estate arriva. Mezzo passo per volta, con qualche sosta e qualche ripensamento, ma anche lei arriva. Menomale.

Comunque, insomma, è stata approvata questa legge sulle intercettazioni. Chi delinque ha diritto alla privacy, come tutti. Mi pare giusto. La privacy è il principio supremo, dopo di lui vengono la giustizia, l'onestà, il diritto all'informazione. Mi pare giusto. Delinquere è una scelta personale, riguarda la sfera intima di ciascuno di noi, nessuno ha il diritto di criticarla o di imporre le sue punizioni e il suo senso di giustizia alla mia scelta personale di rubare o di corrompere. Ci mancherebbe. Siamo un Paese libero, siamo il popolo della Libertà, che cribbio.

Cribbio. Ormai non lo dice più neppure Berlusconi, lo usano solo i suoi imitatori. L'ultima volta che l'ho sentito incribbiarsi è stato quando un giornalista gli ha dato una microfonata sui denti. Poi neppure la statuetta del duomo lo ha fatto incribbiare, benché sia stato un fatto riprovevole e che ancora mi fa venire il nervoso, solo a ripensarci. Mi è dispiaciuto molto per quello che è successo. Spero che la prossima volta andrà meglio, basta solo prendere meglio la mira, un pochino più in alto, e vedrai che senza nemmeno violare la privacy l'opera è completa.

Che i denti si fanno in fretta a riparare, e il dentista manco gli avrà fatto la fattura. Ma è una scelta personale, chi siamo noi per criticarlo? Ognuno ha la sua scala di valori, ci vuole rispetto per le scelte altrui.

Comunque, dicevamo, l'estate pian piano arriva. Senza violare la privacy di nessuno, sileziosa, a passi lenti, ma arriva.

Ebbè?

sabato 15 maggio 2010

assenso

Anche le settimane nere finiscono, anche se più lentamente, perché l'agonia non è agonia se non si prolunga più del necessario. Solo che non so se i periodi neri seguano la stessa cadenza del nostro calendario, quindi non so se con la settimana nera finiranno anche i giorni neri.
Non ho voglia di scrivere perchè siano giorni neri. E' troppo difficile. Anzi, un motivo per cui sono neri è che non mi è ben chiara la ragione per cui lo siano. Ma vorrei evitare di renderli ancora più neri sforzandomi di chiarirla. Se ne andrà così come è arrivata, o forse non se ne andrà, o forse c'è sempre stata, non so, non mi importa.
Sono meglio le cose senza senso, perché non avendo senso non possono neppure essere buone o cattive, dolci o amare, giuste o sbagliate. Le cose senza senso sono trasparenti e inconsistenti e inutili, tutto quanto, ma non sono nere. Voglio cose senza senso adesso. Frasi parole gesti fatti. E voglio togliere senso alle cose che già ce l'hanno. Giocare con le cose come se non fossero cose serie, con le persone come se non fossero persone, con il futuro come se non fosse il mio.
Dedicherò il mio weekend a togliere senso alle cose, e vedremo lunedi cosa rimane

domenica 9 maggio 2010

mare

Mi è venuta voglia di andare al mare. Così d'improvviso. Benché siano le due di notte, e benché io non abbia mai amato particolarmente il mare, e benchè sappia a malapena nuotare, vorrei in questo momento essere al mare.

Veramente vorrei essere in tanti altri posti ora. Vorrei stare passeggiando in una città deserta. Una città enorme, una metropoli, di quelle piene di strade e grattacieli e semafori, ma senza anima viva in giro. Credo sia molto simile al mare. Forse è sempre lo stesso desiderio, sotto una luce diversa, ma fondamentalmente sempre la voglia di mare.

Un altro posto dove vorrei essere è tra i vicoli di un paesino sperduto, e dev'essere piena estate, e le pietre delle case riflettono il sole torrido e il caldo diventa soffocante, ma io passeggio tra i vicoli all'ombra dei tetti e dei balconi fioriti, e dal fresco in cui mi trovo vedo il caldo pochi metri più in là, al centro della piazza assolata, ma il caldo non mi tocca, protetto come sono dall'ombra dei vicoli.
Forse anche questo paesino sperduto è la stessa cosa del mare.

Vorrei essere dentro a un letto, e godere del riposo per tutto il tempo che voglio, senza che il sonno arrivi a rubarmi il godimento. Vorrei un'insonnia dolce, un tempo che rallenta non perchè l'attesa del mattino pesa, ma perchè la mia voglia di riposo si prolunghi in modo indefinito.

Dev'essere anche questo come il mare, per forza.

Dormo adesso. Annego, nuoto, mi tuffo.

lunedì 3 maggio 2010

tu

Che vuoi? Sì, tu, ce l'ho con te. Sì sì, proprio tu. Che vuoi?
Perchè sei qui? Perché stai leggendo questo blog, proprio questo e non un altro?
Avevi del tempo libero? Oppure stai impegnando il tuo tempo non libero, o anzi stai liberando il tuo tempo che dovrebbe essere impegnato?
Cosa ti aspetti da me, tu che passi di qui e leggi il mio blog? Pensi che abbia qualcosa da dire, o addirittura da dirti? Forse ce l'ho. Anche se dopo due anni e mezzo di blog uno potrebbe avere esaurito la riserva di cose da dire. Non che avessi questa gran riserva, a dire il vero.

Oggi non è successo niente, cioè sono successe tantissime cose senza significato. Va bene questa, come cosa da dire? Forse non è quello che uno si aspetterebbe da un blog. Dopotutto anche questa frase è una delle cose senza significato che sono successe oggi. Ho anche alternato momenti di rabbia a momenti di moderato sollievo, oggi, con punte di contentezza verso mezzogiorno e di stanchezza verso le 5. Già più interessante, ma non abbastanza da soddisfarti, vero? Non so che farci, è così. Posso impegnarmi di più, ma non saresti davvero contento, non basterebbe a evitare il tuo andartene di qui con un senso di insoddisfazione e l'idea di aver buttato via tre minuti del tuo tempo. Forse la delusione ti porterà a non passare più da queste parti. Forse non ci rivedremo mai più, se mai ci siamo visti qualche volta. Fa niente, si sta più larghi quando si è in pochi. E da soli poi si sta larghissimi, da dio, comodissimi. Ma se tornate mi stringo, prometto, so rinunciare alle comodità.

So rinunciare persino al lusso della solitudine, al privilegio dell'autocommiserazione, alla pace della resa.
Quindi torna, e torna presto, che io resto qui, e preparo le parole per la prossima volta, preparo parole migliori, preparo significati, più significati, semino parole e aspetto che tu torni a vedere i frutti.
Ecco, ora mi metto largo, mi metto comodo, mentre esci e te ne vai per la tua strada. Ma qui di posto ce n'è, ricordati.

venerdì 30 aprile 2010

provateci voi

Provateci voi, a fare capire a un'impiegata delle poste la differenza fra il concetto di "plico aperto" e il concetto di "plico apribile". E se non si riesce, toglieteci pure tutti i concetti e provateci, a farle capire la differenza fra un plico aperto e un plico apribile. E che, anche tralasciando la considerazione che il concetto di "apribile" è complementare al concetto di "chiuso", a sua volta opposto al concetto di "aperto", anche tralasciando queste questioni concettuali, dicevo, una cosa apribile è una cosa chiusa, cioè una cosa non aperta, ché se fosse aperta non ci sarebbe il problema di aprirla e, va da sè, di renderla apribile.
Niente, non ce la farete, vedrete che non ce la farete, e vi toccherà litigare, e uscire dall'ufficio postale incazzati, e tornare all'ufficio postale dopo aver controllato sul sito internet che effettivamente il plico doveva essere solo apribile, e non aperto, e di nuovo ricominciare a convincere l'impiegata che vi ripete "Vede c'è scritto 'apribile', e il suo invece era chiuso", convincerla che appunto perchè c'è scritto "apribile" era stato giusto consegnarle il plico chiuso, e lei state certi che non vi capirà, e uscirete ancora dall'ufficio postale ancora più incazzati di prima, e così via inesorabilmente all'infinito, dentro e fuori da un ufficio postale, per l'eternità, finchè l'ufficio postale chiude.
Provateci voi, provateci.

domenica 25 aprile 2010

muri futuri

Si fa parecchio fatica a stare in piedi, senza un punto d'appoggio, in mezzo agli scossoni, in questa instabilità che è là fuori ma che pian piano entra dentro, in un circolo dove non si sa più dove e quando sia l'inizio, se e quando ci sarà una fine. Sono io a proiettare sul mondo la mia instabilità, o è l'instabilità del mondo a penetrare pian piano nel mio equilibrio interiore? Il motivo per cui non potrò mai rispondere è che non c'è mai stato un equilibrio interiore, e quindi non c'è mai stato un punto di partenza, un momento in cui tutto è iniziato, un momento a cui risalire per vedere come fossero le cose prima. Non c'è nessun "prima", ecco.
Il futuro è un muro grigio che si vede in lontananza, ma che pian piano si avvicina, e poi un po' meno piano, e poi quasi veloce, e poi talmente veloce che ti accorgi di non avere il tempo per trovare il modo di non andare a sbatterci. Così mi sono schiantato contro il muro del mio futuro, che mi ha rimbalzato all'indietro, ma forse non mi ha distrutto. Continuerò a picchiarci contro, nonostante il male che fa, nonostante il suo grigio avvilente, nonostante la durezza della sua sostanza, finchè prima o poi, da qualche parte, a costo di sanguinare, uno spiraglio si dovrà aprire, e il muro crollerà sotto i miei colpi, e da qualche parte oltre quel muro ci sarà il mio presente.
Un giorno.

sabato 24 aprile 2010

mercoledì 21 aprile 2010

fantasy

Stanco. Stanco stanco stanco stanco. Per che cosa, poi? Uno che arriva a sera stanco, dovrebbe arrivarci felice. E con qualcosa in tasca, qualcosa di più sostanzioso dell'aria fritta.
Dovrebbe.
E dovrei anch'io.
Che invece sono solo stanco, senza un briciolo d'altro.
Mi dico che non è giusto, così, per consolarmi o forse darmi coraggio. Non è giusto, ecco. Si dovrebbe ricevere in base a quello che si dà, non di meno. Anche perché quando si riceve di meno, è perchè qualcun altro da qualche altra parte sta ricevendo di più.
Tutto questo mi fa schifo. Questo mondo. Schifo schifo schifo. Anzi no, non questo mondo. Le persone di questo mondo mi fanno schifo, soprattutto quelle che non conosco, perchè mi viene più facile odiarle, ma a volte anche quelle che conosco, perchè spesso è più facile odiare loro.
Bisogna avere una bella fantasia, certe volte. Altrimenti si resta solo con questo mondo, e non si sa proprio che cosa farsene.

venerdì 16 aprile 2010

ripari

Pioggia. Dolce. Morbida. Profumata pioggia.
Là fuori. Lontana, eppure sopra di me. E intorno. Ma comunque lontana.
Rumore che non disturba, un bussare che non chiede "permesso", ma che serve solo a rassicurare sulla distanza che resta fra qui dentro e là fuori. Lontano, eppure sopra di me, dove piove.
Più forte, per favore, più forte. Questa pioggia non mi basta. Voglio sentire più forte questo essere riparato dalla pioggia. Voglio che tutto si bagni, che tutti si inzuppino d'acqua, per essere rassicurato del fatto che il tutto non mi appartiene, che io non sono tutti. Voglio essere sicuro che piova anche mentre dormo, perchè il sonno al riparo dalla pioggia mi porti ancora più lontano da questo mondo bagnato.
Ora dormo, ma deve piovere all'infinito, altrimenti sarà solo un sonno normale, senza altro senso se non recuperare dalla stanchezza. Voglio un sonno che sia soprattutto uno stare al riparo dalla pioggia. Un sonno per il quale non serve dormire.

sabato 10 aprile 2010

freddore

D'accordo, d'accordo, ho esagerato. Le cose non vanno poi così male. Non mi ero accorto di essere stato così tragico.
Oggi era primavera. E io ero in casa con il raffreddore. E gli uccellini fuori cantavano, e le farfalle si libravano nel dolce brezza di aprile, e il venticello leggero scivolava sulle gemme verdi, e si sentivano suonare i violini e bla bla bla. E io ero in casa con il raffreddore. E la mia gatta si rotolava nell'erba, e i bambini nella via giocavano a pallone per strada, e il cielo era di un blu mai visto, e quasi l'avresti chiamata estate, e bla bla bla. E io ero in casa con il raffreddore. Comunque, dicevo, non è poi così male: domani dovrebbe tornare a piovere, e io me ne starò in casa con il mio raffreddore. Vedi che piano piano le cose si sistemano...

giovedì 8 aprile 2010

dopo

Giorni neri che più neri non si può. Anzi sì, si può, ma mi basta così. Se solo potessi spaccherei qualcosa. Che in effetti sì, potrei, ma non è che serva a molto.
La pazienza consuma. MI consuma. Ci dev'essere un limite a tutto questo, un limite alla mia capacità di reggere. E il fatto di non sapere esattamente quale sia mi avvicina di più a questo limite. E' una cosa che non so, ma che sento.
Forse quello che ho appena scritto è paradossale, o forse non ha senso. Forse è solo che ho paura di essere pericolosamente vicino a questo limite, e di non sapere cosa ci sia dopo. Cosa succeda una volta che si superi il limite. O forse, peggio è ancora, è la paura che un limite non ci sia, che questo consumarsi possa andare avanti indefinitamene, che non si arrivi o, perlomeno, non si finisca da nessuna parte.
Ancora un po', ancora un po', e poi un altro po'..nell'angosciante attesa di un limite, un punto in cui, in qualche modo, si arriva, o si finisce.

domenica 4 aprile 2010

cioccolato

A volte mi sembra che le cose vadano bene. E' quando il mondo si ferma, e io mi fermo insieme a lui. E' quando niente sta per succedere, e niente è appena successo. E di conseguenza niente succede. Dura poco, è vero, ma non importa, perchè la sua fine non sta mai per succedere, finchè non ci si accorge che è già successa.
Dev'essere per colpa della Pasqua che ragiono così. Della parentesi che la Pasqua apre e chiude per chi non la vive, e di conseguenza non vive nello stesso mondo insieme agli altri per questi due insignificanti e cioccolatosi giorni. Benchè una cosa cioccolatosa non possa mai, per definizione, essere del tutto insignificante.
Ad ogni modo, volevo mettermi un attimo in disparte dalle cose per riflettere oggi. Non l'ho fatto, perchè la cose mi hanno seguito fin dentro il mio rifugio privato. Che non esiste più. Ho paura che le cose siano diventate una parte di me. Anche se forse dovrei esserne contento. Solo che non riesco più a riflettere, a scavare a fondo. O forse non riesco più a darci la dovuta importanza. Tanto che non so nemmeno come chiamarla questa cosa, questa cosa a cui non riesco a dare importanza. Forse sto finalmente diventando superficiale, ma forse dire così è troppo presuntuoso. Forse mi sto finalmente rendendo conto di quanto sia sempre stato superficiale nel mascherare di parole apparentemente profonde la banalità dei miei pensieri.
Ma dev'esser per colpa della Pasqua che ragiono così. Non c'è da farci molto caso, basta una pasquetta a portarsi via tutto.

giovedì 1 aprile 2010

berluscopoli

Sono un po' stufo di sentire dire che il Pd ha perso le elezioni per colpa del Pd, almeno tanto quanto sono stufo di sentire quelli del Pd che dicono di non aver perso le elezioni. Fondamentalmente il Pd ha perso le elezioni per colpa degli italiani. Se il prezzo da pagare per farsi votare dagli italiani è diventare simili a Berlusconi, sparando insulti a destra e a sinistra (ma più a sinistra), tenendo i giornalisti a libro paga, pagando le puttane con distribuzione di appalti e cariche pubbliche, molto meglio non farsi votare. Sono gli italiani che devono cambiare, non il Pd. E se gli italiani non cambiano, allora è giusto che vinca Berlusconi, di cui infatti gli italiani sono oggi lo specchio.
E amen.

sabato 27 marzo 2010

idealmente

Non credo di essere abbastanza consapevole di quello che succede attorno a me. Succedono cose di cui non riesco a capire la ragione e che mai avrei immaginato, e nessuno sembra stupirsene. Quindi ne deduco che mi sfugge qualcosa, che ci sono delle spiegazioni che sono là fuori, a portata di mano, ma che io non riesco a vedere. Forse perchè ogni volta che vado là "fuori", senza accorgermene mi tappo il naso e le orecchie e gli occhi. Ma è più forte di me, è una specie di reazione istintiva. Non si può stare là fuori a lungo senza dimenticarsi, quasi per auto-difesa, di essere là fuori. Ad ogni modo, di questa consapevolezza che mi manca ne faccio volentieri a meno, perchè mi manca, sì, ma non mi manca per niente.

Questo weekend lo passo al seggio a compilare verbali su verbali su verbali e a contare i voti che Berlusconi si porta a casa. Ecco un'altra dimostrazione della mia mancanza di consapevolezza, come è possibile che Berlusconi si porti a casa valanghe di voti nel 2010. Meglio non sapere, anzi non pensarci. Peggio per voi, quindi per noi, quindi per me. Prima o poi forse mi metterò in salvo.

Ho finito di scrivere un articolo, poi ho finito di scriverne un altro, poi ho iniziato a riscrivere un malloppone di 200 pagine. Poi non so che altro si debba fare. Se fossi un gatto come la mia gatta sarebbe molto più semplice, anche se il mio universo concettuale si ridurrebbe a un "miao" e non avrei abbastanza predicati per scrivere articoli, e va da sè che nessuno me li pubblicherebbe. ma non avrei neppure ambizioni tali per cui questo dovrebbe essere un fatto negativo. Tutto sommato mi converrebbe.

E la cosa peggiore di tutte è che dopo tutte queste parole non sono riuscito a capire se oggi devo essere contento e tranquillo o depresso e preoccupato o apatico e indifferente. Forse dovrei accontentarmi di capire quello che sono, non quello che dovrei essere. Ma non so quale delle due cose sia più difficile. QUello che so è che prima o poi, idealmente, dovrebbero arrivare a coincidere. "Idealmente" vuol dire che lo si dice così tanto per dire, perchè si sa che tanto non succederà mai.
Forse allora le cose stanno così, che idealmente oggi potrei anche valutare di essere felice e contento.

giovedì 25 marzo 2010

essere spacciati



La mia gatta non perdona

sabato 20 marzo 2010

blackout

Non capisco il nervoso che mi prende quando stacco la spina per un po', come in questo weekend, dopo tanto tempo. Non sopporto questa incapacità di godermi il tempo che finalmente potrei chiamare "libero", fosse anche per riposarmi e dormire tutto il giorno. Non sopporto l'idea che mentre io dormo ci potrebbe essere qualcuno che fa cose, lavora, progetta. E io ho la mente spenta che non ha più le energie per ripartire, eppure non vuole rassegnarsi all'idea di starsene ferma per un po'. Vorrei avere cose da fare, ma cose che non ho le forze per fare, e allora vorrei semplicemente avere appena finite di farle, due minuti fa, forse cinque, ma dieci no perchè sarebbero già troppi, la mia mente vorrebbe già ripartire. Ma verso dove, mi chiedo , se in tutto questo tempo non è stata capace di muoversi da qui?

mercoledì 17 marzo 2010

squarci

Alla sera i respiri si sentono più forte. Si sente il sibilo dell'aria che entra nel naso, ogni respiro diventa un sospiro che ti fa sentire più forte quello che hai dentro: sospiro di soddisfazione, o di angoscia, o di aspettative, tutto suona più forte e chiaro di sera.
Queste giornate hanno preso un colore strano. Così, di improvviso. Sembra quel colore bellissimo e inquitante degli squarci di sereno in mezzo al nero del cielo carico di pioggia. Qualcosa che non riesci a guardare senza lasciarti sorprendere dalla sua bellezza, ma anche senza pensare alla minaccia delle nuvole tutto attorno. Senza pensare all'instabilità degli squarci di sole tra le nuvole. Questi giorni sono come un giallo arancio rosso fuoco dentro al grigio nero.
Va bene così, nel frattempo. Va bene così, finché non torna a piovere.
Va bene così.

mercoledì 10 marzo 2010

stessi

Mi chiedevo come stessi, ma poi diventava troppo difficile con il congiuntivo e ho lasciato perdere. Tornerò a chiedermi semplicemente come stai.
Ho passato l'ennesima giornata festiva in modo assolutamente non festivo. Forse dovrei rimuovere l'idea che la domenica sia festa. Ok, rimossa.
Cosa resta della domenica quando si smette di considerarla il giorno della festa? Resta una sequenza di mattina, pomeriggio e sera che assomiglia in tutto e per tutto a quella di un giorno qualunque. Con la differenza che per la gente attorno è comunque festa.
Ma più che festeggiare, la gente attorno usa la festa per riposarsi e pensare ai fatti suoi. Che comunque è un gran bel modo di festeggiare.
A meno che tu non sia juventino e ti tocchi una rimonta 3-0 3-3 del Siena. In quel caso avresti subito bisogno di un lunedì per depositare la domenica nel passato. Ma solo nel caso tu sia uno che si lasci condizionare la domenica dal risultato della propria squadra. E se sei juventino non ti conviene. Infatti io, che ho la sfortuna di essere juventino, non lo faccio.
Mi sta salendo in questo momento una certa apatia dovuta al fatto che si sta facendo sera. Forse perché dopotutto non mi dispiaceva più di tanto l'idea che fosse domenica, e adesso un po' mi scoccia dover aspettare una settimana intera prima di averne un'altra. E' che quando arriva sera uno cambia mentalità, si mette nell'ottica che sia sera e inizia a pensare al giorno dopo. Soprattutto quando la sera arriva di domenica. Dovrei trovare qualcosa per non pensarci. Per esempio potrei andare a messa, se solo fossi uno che va a messa. Ma la messa è per quelli che considerano la domenica una festa, e quindi io sono escluso in partenza. Allora potrei mettermi qua a scrivere su questo blog, se solo riuscissi a scrivere qualcosa che non abbia a che fare con l'idea che oggi è domenica e che oggi è festa ma non è festa e che dovrei pensare a qualcosa per non pensare al fatto che è domenica sera. Ma dato che non ci riesco, tanto vale che la smetta qui anche di scrivere.
Per la prossima domenica prometto che mi preparo meglio.

elezioni 2010

sabato 6 marzo 2010

regole e no

Allora, ci sarebbero delle regole, e sarebbero uguali per tutti. Perché saremmo in una democrazia, no? Magari potremmo anche dire che la democrazia non va bene, che ci sono forme migliori, questo può anche darsi. Sta, anzi, starebbe di fatto che saremmo in una democrazia, quindi ci sarebbero delle regole uguali per tutti. Non è che le due cose vadano ognuna per conto proprio: democrazia vuol dire che il potere è di tutti, non di uno o due o cento. Tutti. Quindi, se è di tutti,è tanto di chi governa quanto di chi è governato, e infatti in una democrazia sarebbe chi è governato a decidere chi lo governa. Tralascio il fatto che già solo per questo motivo noi in Italia non siamo una democrazia. Comunque, dicevo, se il potere è di tutti, è perché tutti sono uguali, altrimenti il potere sarebbe solo di qualcuno. Invece no!, vacca miseria, è proprio di tutti!. E quindi dal punto di vista del potere e del governo, siamo tutti uguali, anche gli imbecilli (e allora, appunto, potrebbe darsi che la democrazia non sia proprio la cosa migliore, ma tant'è: noi saremmo in democrazia, questo è quello che viene ripetuto da tutti). E quindi, il fatto che si sia in democrazia vuol dire che si è tutti uguali, e il fatto che si è tutti uguali spiega perché ci siano regole uguali per tutti. Se le regole smettono di essere uguali per tutti, allora non si è più in democrazia. Questa non è un'idea politica o una tesi di parte, è una cosa matematica, come 2+2= 4, democrazia= regole uguali per tutti.
Quindi ci sarebbero delle regole uguali per tutti. Le regole si chiamano "regole" apposta perché sono, appunto, delle regole. Non sono delle abitudini, o delle linee di massima, o dei suggerimenti. No!, vacca miseria, sono regole! Devono valere sempre, in generale, non solo quando fa comodo. Capita poi che ci sono casi in cui sarebbe meglio che le regole non ci fossero, ma le regole sono regole proprio perché devono valere anche in quei casi, così uno sa che, qualunque cosa succeda, ci sono delle regole, e quindi uno sa che, qualunque cosa succeda, e dunque a prescindere da chi sia la persona cui succede, tutti restano uguali, e quindi si resta in una democrazia.
Ora, ci sono delle regole che tutte insieme si chiamano burocrazia, e sono una gran rottura di palle. Ma ci sono. Si potrebbero cambiare, è vero, così diventa tutto più semplice. Ma finchè non si cambiano, loro ci sono. Una di queste regole è per esempio che se io pago una ritenuta d'acconto e metto un codice anzichè un altro codice, anche se di fatto io sto pagando la ritenuta, io sto infrangendo una regola, che magari è stupida e inutile, ma c'è, e se non la rispetto ne pago le conseguenze.
Questo vale per me. E anche per chi legge questo blog. E per milioni di altre persone che non sono così fortunate da leggere questo blog. Anzi, siccome saremmo in una democrazia, varrebbe per tutti.
In Italia non vale per tutti. In Italia, se qualcuno non rispetta le regole della burocrazia, ne paga le conseguenze, ma se invece a non rispettarle è qualcun altro, allora niente problema, si sistemano le regole all'occorrenza. Poi ci sarebbe da dire che in Italia questo non vale solo per le regole della burocrazia, tipo non consegnare i documenti in tempo per presentarsi alle elezioni, ma vale anche per le regole che dicono che non si ruba, che non si corrompe, che non si fanno affari con la mafia, e via dicendo.
Quindi, per tirare le somme, in Italia saremmo in una democrazia, ma non lo siamo. Ma ripeto che questo non è un giudizio politico, è solo una constatazione. Magari è anche meglio così, non lo so. La democrazia può essere pericolosa. Se per esempio la maggioranza delle persone vota un delinquente, in una democrazia non ci sarebbero gli strumenti per impedire al delinquente di governare. Quindi, insomma, per fortuna che in Italia non siamo in democrazia..

martedì 2 marzo 2010

può

Così non può andare, eppure va. Quindi si vede che può, o forse può in un senso diverso da quando si dice che no, così non può andare.
Le sere si allungano sempre di più dentro alle notti, ma portano dentro alle notti solo le angosce e il lavoro ereditati dal giorno. Quello che tiene a galla è l'idea che si tratti di una situazione provvisoria, di una fatica destinata a finire presto. Ma questa è anche l'idea che alimenta le angosce del giorno e della sera e della notte.
Vorrei che finisse, e vorrei di no, e vorrei capire cosa sia prima che finisca. Perchè se così non può andare, almeno vorrei capire quale sia la direzione di questo andare.

mercoledì 24 febbraio 2010

bolla

E se nel frattempo, mentre sono troppo preso con altre cose per pensarci, il tempo dovesse all'improvviso decidere di passare? Basta un attimo di distrazione e quello già se ne è andato via, mentre tu sei ancora lì alle prese con le cose da fare, i problemi da risolvere, le questioni di cui preoccuparti e, insomma, con tutto quello che non è tempo che passa.Ti crei una bolla d'aria in cui ti immergi con tutte le tue cose e ne fai un unico, indefinito momento in cui succede tutto insieme, una cosa sopra l'altra o dentro l'altra, il pensiero che passa da un pensiero a un altro pensiero, senza un ordine, una scansione, un ritmo. Senza il tempo che passa. Ma che si fa se fuori da questa bolla il tempo, senza dire niente a nessuno, dovesse decidere di passare oltre?

giovedì 18 febbraio 2010

all'ombra dell'ultimo sole

ho poco tempo e troppa fame..ho sete sono un'assassino.
Se uno non ha tempo, non è che può fare molto. Al limite potrebbe non fare, perchè meno si fa, più il tempo aumenta. E se aumenta troppo, poi addirittura pesa.
Se invece uno ha fame,mangia.Se ha troppa fame, però, basta che non mangi troppo, se no poi gli viene sete e diventa un'assassino.
Nel caso della sete è facile: basta bere. L'importante è ricordarsi di fare pipì quando scappa, il che succede di solito dopo che uno beve. Ogni tanto a me quando scappa per non dimenticarmi di farla mi faccio un nodo sul fazzoletto. Sul fazzoletto, ho detto, che a me quell'altra cosa non è neanche passata per l'anticamera del cervello. Volgari.
Il problema arriva se per caso uno è un assassino, e non ci sono pescatori nelle vicinanze, e si rischia di morire di fame e di sete.
e tutto solo perchè uno ha poco tempo.
Non nel senso che uno è solo perchè ha poco tempo.
Intendevo: tutto questo succede solo perchè uno ha poco tempo.
Anche se uno che ha poco tempo di solito è tutto solo, perchè non ha tempo per gli altri.
Io, per esempio, quanto tempo ho per gli altri? Credo meno di quello che vorrei averne, ma forse più di quello che voglio averne.
Che differenza c'è tra voglio e vorrei? C'è la differenza di un "se...".
Ma ho poco tempo per pensare a "se che cosa".
Poco tempo e troppa fame.