giovedì 31 luglio 2008

nemico sole

Ho capito perchè odio così tanto l'estate. Quando vedo questo cielo così azzurro, e i prati verdi, l'ombra degli alberi sui viali alberati in riva al lago, il sole così luminoso, e capisco quanto sia bello tutto questo, e quanta serenità potrebbe trasmttermi, allora ho la chiara percezione di tutto quello che non sono capace di godermi, di tutto quello che mi sto perdendo. Invidio tutti quelli che sanno accettare e godersi i regali dell'estate.

A volte credo proprio di non essere normale. Tutte le persone credono di non essere normali, è vero, ma io credo di non essere normale in modo non normale. Altrimenti non mi verrebbero neppure in mente robe come queste. Forse dovrei cercare di normalizzarmi. O forse dovrei iniziare a preoccuparmi.

Ma perchè non si può semplicemente guardare il cielo e passeggiare all'ombra degli alberi ed essere felici per tutto questo?

Comunque odio stare al sole e odio il caldo. Il sole mi indebolisce e mi fa deprimere, quando sono al sole mi si annebbia il cervello e, non so perchè, mi viene anche un po' di ansia.
Come sarebbe bello se fosse solo per questo che odio l'estate.

Lo vedete che non è normale il mio modo di non essere normale?

mercoledì 30 luglio 2008

panorama

non è tanto bello, visto da qui.
vuoto
vuoto vuoto vuoto vuoto vuoto vuoto
ci sono dei momenti che in realtà non passano mai.
I momenti belli sì, passano.
I momenti brutti no. Con il tempo poi si accumulano, si sovrappongono. Quelli più vecchi a un certo punto iniziano a sembrare meno brutti, e si prova a farsi ingannare dall'apparenza. Ma l'apparenza non inganna mai quando dovrebbe.
I momenti brutti non sono momenti, sono solo brutti, anche se si prova spalmarci sopra dei sorrisi. Non si riesce a coprire tutto

lunedì 28 luglio 2008

la storia triste del camaleonte blu- seconda parte

Riassunto della puntata precedente. Presentazione caratteristiche fisiche e psicologiche del camaleonte. Introduzione del camaleonte protagonista della storia. Il camaleonte si trova davanti a un mondo senza colori e va in crisi (ma non di identità, perchè l'identità non ce l'ha, come si è cercato di spiegare). Tentativi inutili di spiegare come è il mondo senza colori. Il narratore non capisce bene neppure lui. Il camaleonte non sa che colore mettersi, quindi chi essere. Il narratore deve andare a mangiare e poi non ha più voglia di continuare.

Seconda parte.
Il camaleonte, sapendo che c'è qualcuno là fuori che si è appassionato alla sua storia, decide che forse vale la pena darsi una mossa e pensare a fare qualcosa. Se non sarà il mondo a suggerirgli il colore, allora il camaleonte prenderà il coraggio a due mani e deciderà da solo. I camaleonti non hanno mani, è vero, ma il coraggio lo si può prendere anche con delle zampe, se sono zampe abbastanza grandi per tenere ben fermo tutto il coraggio che serve.
Passando in rassegna tutti i colori che ha visto nella sua vita, il camaleonte non riesce a trovare un buon motivo per preferirne qualcuno agli altri. Finora il solo motivo per cambiare colore è stato lo sforzo di mimetizzarsi e nascondorsi, ma adesso non c'è davvero modo di passare inosservato. In un mondo senza colore, anche il colore più sobrio e anonimo che c'è diventa un pugno in un occhio.
Il camaleonte alza gli occhi al cielo, quasi a cercare un suggerimento, un'ispirazione dall'alto, ma il cielo tace anche per i camaleonti. Tace sì, ma non è del tutto inutile, per essere un cielo. Il camaleonte infatti nota una cosa cui fino a quel momento, stranamente, non aveva fatto caso. Il mondo senza colori non è proprio senza colori. Il cielo,lassù, è blu! Finalmente un colore, in mezzo a tutto il vuoto attorno che ormai stava diventando anche un vuoto dentro al camaleonte. Perchè il cielo di un mondo senza colori rimane blu? Il camaleonte non aveva molta voglia di arrovelarsi il suo già piccolo cervello su queste domande, ma la cosa lo incuriosiva non poco.
Naturalmente, il camaleonte si sentì sollevato da molte responsabilità alla vista di quel cielo blu. Adesso non si trattava più di decidere da solo il colore, ma si poteva tranquillamente lasciarsi sfumare verso il blu da quel cielo che sembrava chiamarlo. Il camaleonte chiude gli occhi e aspetta che la natura faccia il suo corso e lo dipinga di blu. Aveva sempre funzionato così, sarebbe stato così anche stavolta.
E infatti dopo pochi minuti il camaleonte diventò completamente blu. Diventò il blu, come nella sua vita era stato tanti colori diversi. Il blu di fuori ma anche il blu di dentro, perchè un camaleonte non può essere nient'altro che il colore che diventa.
Il camaleonte alzò allora gli occhi verso il cielo, e gli scappò un sorriso. Anche se io non credo che il camaleonte avesse davvero capito quello che era successo, nè prchè in quel momento gli venisse da sorridere.
Se non fosse che proprio in questo momento finisce la seconda parte, scriverei tutto quanto, ma temo che si debba aspettare la terza puntata, perchè ho una birra nel frigo che mi sta chiamando e dice che ha freddo e che ha bisogno di scaldarsi un po' nel mio stomaco

n.b. votate anche voi il sondaggio qui a fianco sulla storia triste del camaleonte blu. Io l'ho già fatto. Potrete così partecipare all'estrazione di un dente a vostra scelta. Aut. min. ric.

domenica 27 luglio 2008

bruce springsteen, independence day

Questa canzone riesce sempre a commuovermi, credo sia uno delle più belle mai scritte...

Papà, vai a letto ora, si sta facendo tardi,
nulla di cio' che potremmo dire cambierebbe le cose adesso,
partiro' in mattinata dal Saint Mary's Gate,
non cambieremmo idea neppure se in qualche modo potessimo,
perche' il buio di questa casa si è preso il meglio di noi,
e in questa città c'è un'oscurità che si è presa anche noi,
ma adesso non possono farmi più niente,
e adesso tu non puoi farmi più niente,
non lascerò che facciano a me ciò che li ho visti fare a te.

Allora dimmi addio, questo e' il giorno dell'indipendenza,
e' il giorno dell'indipendenza ovunque
dimmi addio, e' il giorno dell'indipendenza,

Io non so cosa ci sia sempre stato fra noi,
sceglievamo con cura le parole da dire e tracciavamo degli steccati,
non c'era proprio modo che questa casa potesse contenerci entrambi,
penso che semplicemente noi fossimo fatti troppo allo stesso modo.

Dimmi addio, e' il giorno dell'indipendenza,
e' il giorno dell'Indipendenza, tutti i ragazzi devono correre via,
allora dimmi addio, e' il giorno dell'indipendenza,
tutti gli uomini devono prendere la propria strada,
quando arriva il loro giorno dell'indipendenza.

Ora le stanze sono tutte vuote giù' da Frankie,
e l'autostrada e' deserta fino a Breaker's Point,
c'è tanta gente che sta lasciando la città, lasciando i loro amici, le loro case;
di notte percorrono tutti soli quella strada buia e polverosa.

Papa' vai a letto, si sta facendo tardi adesso,
nulla di cio' che potremmo dire cambierebbe le cose adesso,
perche' adesso ci sono persone diverse che vengono qui,
e vedono le cose in modo diverso,
e presto tutto cio' che abbiamo conosciuto verra' spazzato via.

Allora dimmi arrivederci, e' il giorno dell'indipendenza,

Papa', adesso capisco le cose che volevi, ma che non riuscivi a dirmi,
ma non vuoi almeno dirmi "addio"? E' il giorno dell'indipendenza,
giuro che non ho mai avuto intenzione di portarti via quelle cose

giovedì 24 luglio 2008

lunadigiorno

Mi piacciono queste giornate d'estate, anche se io non sono fatto per il sole.
Il cielo blu, neppure una nuvola per tutto il giorno, ma senza quel caldo che ti uccide. Seduto all'ombra, il silenzio più totale, la mia gatta che dorme sotto i cespugli. Quasi come star bene. Stamattina nel cielo, proprio di fronte al sole, c'era persino la luna. La luna di giorno sembra una nuvola bianca dai contorni sfumati, un cerchio di vapore lì lì per scomparire. Non ha gli occhioni tristi della notte, e la sua presenza è molto più discreta. La luna di giorno sa bene che quello non è il suo posto, e allora fa di tutto per passare inosservata, persino provando a camuffarsi da nuvoletta.
Ma stamattina era proprio difficile per lei nascondersi nel bel mezzo del cielo blu. "Che vuoi?", le dico appena la vedo. Lei non mi risponde. "Ti trovo pallida", continuo, ma di nuovo senza risposta. La mia gatta sbadiglia, le sto disturbando il sonno. Mi rimetto a studiare, provo a non pensare alla luna di giorno. Così scivola via la mia giornata, finchè il blu si spegne, e la luna torna a fare la luna.
Quasi come star bene.

mercoledì 23 luglio 2008

ci siamo


Il coniglietto dei compleanni è in agguato

martedì 22 luglio 2008

nonne

Secondo me Cappuccetto Rosso non era una bambina molto intelligente. Lo si capisce da tante piccole cose. Racconta i fatti suoi al primo lupo che incontra, non capisce che quella che ha di fronte non è sua nonna, fa domande sceme sulla grandezza delle orecchie e del naso di sua nonna che non è sua nonna.
Inoltre, la famiglia Rosso ha avuto un bel coraggio a chiamare una figlia Cappuccetto. Neanche loro devono essere molto intelligenti.
Credo che di tutta la storia l'unica che si salva si la nonna, che almeno ha la scusante di essere vecchia e quindi un po' rintronata.
La storia di Cappuccetto Rosso deve essere però molto educativa, se è vero che non esiste bambino che non la conosca. Non so bene quale sia l'insegnamento che si vuole trasmettere, certo molto dipende dai punti di vista. Per i bambini normali, credo che l'insegnamento sia di non dare troppa confidenza ai lupi cattivi che non si conoscono. Per i cuccioli di lupo, l'insegnamento è di non mangiare una nipotina senza prima aver digerito la nonna. Per i cacciatori, l'insegnamento è che non si sa mai quale sorpresa si può trovare nella pancia degli animali che si uccidono. Ma soprattutto, credo che l'insegnamento sia quello di non fare troppe domande sulle dimensioni del naso della propria nonna.
Direi che la mia storia triste del camaleonte blu è molto più istruttiva e interessante. Se mai un giorno riuscirò a raccontarla, ovviamente. Si accettano suggerimenti sul prosieguo. Nel frattempo io ci dormo sopra. Al mio cuscino, intendo.
Notte

domenica 20 luglio 2008

la storia triste del camaleonte blu-parte prima

Il camaleonte è di certo l'animale più camaleontico che ci sia. Pare addirittura che il nome "camaleonte" derivi dal suo essere così camaleontico, anche se gli esperti stanno ancora dibattendo la questione. Per paura di essere se stesso, il camaleonte cambia colore per assomigliare il più possibile a ciò che lo circonda. E' come se ogni volta "lui" sparisse, lo scopo della sua vita è passare inosservato. Il camaleonte non è mai "qualcuno", è sempre un pezzo del mondo circostante. Per esempio, tanto per dirne una, è difficile (impossibile?) dire quale sia il vero, originale colore di un camaleonte. Ci vuole qualcosa attorno per dare un senso alla vita del camaleonte.
Un giorno un camaleonte si ritrovò in un luogo senza colori. Era tutto normalissimo per il resto, c'erano degli alberi, un prato, un fiumiciattolo, solo che niente era colorato. E' facile capire che in un posto del genere il camaleonte, se mai avesse una identità sua, come minimo andrebbe in crisi di identità. Sfortunatamente, il camaleonte è talmente privo di identità che non gli è concesso neppure il lusso di avere una crisi, una piccola scossa, qualcosa che gli dia la percezione di se stesso come individuo.
Il camaleonte rimase qualche istante a fissare il panorama, cercando di darsi una spiegazione per ciò che gli stava davanti. In effetti, non solo non aveva una spiegazione, ma nemmeno sapeva come avrebbe potuto raccontare una cosa del genere. Un posto senza colori è difficile da immaginare, figurarsi da descrivere. Uno potrebbe provare a pensare all'acqua, per esempio. L'acqua è incolore, lo sanno tutti. Eppure qui non si trattava della stessa cosa. Per l'acqua esiste una parola, "trasparente", e c'è una spiegazione per la mancanza di colore. Purtroppo per il camaleonte, però, questo posto non era per niente trasparente. "Trasparente" sarebbe già stato un buon punto di riferimento, perchè il camaleonte avrebbe semplicemente dovuto provare a diventare trasparente (che poi ci sarebbe riuscito è un'altra storia). Ma qui gli alberi non erano trasparenti, non ci si poteva guardare attraverso. E così per l'erba e addirittura per l'acqua del fiumiciattolo. Se non vi siete mai trovati davanti a un posto senza colori, allora non potete capire. Figuratevi che non capisco neppure io che lo sto scrivendo. Bisogna immaginare un albero, con il tronco, i rami e le foglie e tutto quanto. Naturalmente lo si immagina con una certa forma e un certo colore. Marrone e verde, diciamo. Adesso bisogna pensare allo stesso albero, però senza colore. E' come se si dovesse togliere uno strato. Ecco, vedete, non ne siamo capaci. Non si può. Al limite ce lo immaginiamo tutto bianco, come negli album da colorare prima che vengano colorati. Ma anche il bianco è già un colore, quindi bisogna escluderlo. Impossibile.
Sì, impossibile, eppure il camaleonte c'era davanti. Provando a chiudere gli occhi, il camaleonte non riusciva a tenere nella mente il quadro di ciò che aveva appena visto. Dietro le sue palpebre chiuse (vabbè, non so se i camaleonti abbiano palpebre), la scena gli compariva immediatamente tutta colorata, o al più tutta bianca. Ma appena gli occhi tornavano a spalancarsi e a scrutare attorno, eccolo di nuovo lì, l'inconcepibile mondo senza colori. Cosa fare? O meglio, per un camaleonte, cosa essere? Di quale colore travestirsi? Cosa rimaneva del camaleonte, una volta toltigli i colori? Il camaleonte si rese ben presto conto che la situazione per lui era impossibile non solo da concepire, ma soprattutto da "vivere". Quello era un limite che il camaleonte non si era mai trovato a dover considerare. E' come se una parte di sè fosse scomparsa insieme ai colori del mondo. O peggio, è come se il camaleonte stesso fosse scomparso insieme ai colori del mondo. Eppure qualcosa lì, nel posto del camaleonte, doveva pur esserci. Il camaleonte doveva pur decidersi a prendere un qualche colore, la sua stessa esistenza glielo imponeva. Per quanto privo di identità, il camaleonte non poteva dire di non esistere affatto. Sì, ma quale colore, e perchè? Per la prima volta in vita sua, un camaleonte si trovò faccia a faccia al problema di dovere decidere da solo cosa, o chi, essere, senza che fosse il mondo attorno a gettargli addosso un'identità.
E con questo si chiude la prima parte della storia. Avrete notato che, per essere una storia, finora non si è raccontato praticamente niente. C' è solo un camaleonte che se ne sta fermo davanti a un mondo senza colori. Purtroppo però è mezzogiorno ed è domenica, e il narratore deve andare a mangiare. Oltretutto, il narratore non ha molta voglia di mettersi a continuare la storia di domenica pomeriggio, quindi ha pensato bene di chiudere qui la prima parte e di rimandare a tempi futuri il racconto della seconda parte. Il narratore non sa neppure quante parti ha questa storia, perchè non sa quanta voglia avrà di continuare a scriverla in futuro, e quindi può darsi che ci saranno delle parti con una riga soltanto. A dirla tutta, il narratore non sa neppure come e quando la storia finirà. Per esempio, non ha ancora pensato a un buon motivo per cui il camaleonte blu sia triste, nè per cui il camaleonte sia blu. Ma gli piaceva così tanto il titolo che sicuramente un buon motivo lo troverà, nel prosieguo del racconto.
Quindi non rimane che aspettare la seconda parte, pur non avendo la minima idea di quando sarà scritta. Anche il narratore aspetta con impazienza

giovedì 17 luglio 2008

salti

Eccoci qui, ancora. Ero qui ieri sera, sono qui adesso. Mi sono mai mosso? Dove sono stato? Cosa è successo? C'è una voragine fra me e il resto del mondo. Non tanto larga, ma profonda. Salterei, se solo non fosse così profonda. Solo per andare a vedere cosa c'è dall'altra parte. Ma è pericoloso. Il salto è breve, ma il rischio è alto. Comunque nessuno verrà da questa parte. Il mondo se ne infischia, il mondo va avanti anche se io non ci salto dentro. Non so da quanto sia lì quella voragine. Se mi giro dall'altra parte non la vedo, e si può andare avanti come se non ci fosse. Ma questo non cambia le cose, il mondo se ne sta sempre di là, anche se io non guardo. Non bisogna prendersi in giro, per quanto sia difficile dirsi la verità. Non me ne sto da questa parte perchè io lo voglio, o perchè qui mi piace. Mi ci sono ritrovato. Il mondo di là e io di qua. Posso provare ad accettarlo, non illudermi di averlo scelto.
Da questa parte si prova a riempirsi la vita come si può. Si può anche provare a parlare con qualcuno di là, se si urla abbastanza forte. A volte qualcuno risponde, ma non è una cosa semplice. Di solito le persone stanno dentro la propria vita, dentro le proprie cose. Non ci sono grandi motivi per cui qualcuno dalla parte di là debba sporgersi sull'orlo di un burrone a urlare verso di me. Neanch'io lo farei, se fossi di là. Non penserei nè alle voragini nè a cosa ci sia dall'altra parte. Vivrei, semplicemente vivrei. E mi troverei qualcosa per distrarmi da quel fastidioso pensiero di stare vivendo. Certo non mi fermerei a guardare uno che se ne sta di là e non sa come distrarsi. Certo non penserei a cosa mai possa esserci sul fondo di questa voragine che pare non avere fondo.

mercoledì 16 luglio 2008

amore e no

Amare è semplice, fin troppo semplice. Tutti ne siamo capaci, non ho mai conosciuto nessuno che non abbia amato, non ho mai conosciuto nessuno che sia riuscito a imporsi di non amare. Amare non è solo qualcosa cui siamo spinti, è anche qualcosa che non riusciamo a non volere. Ed è la cosa che ci riesce meglio, perchè amare significa cercare di riempire la parte vuota di noi, e quindi riempirsi. Tendere a completarsi. Per poi sentirsi forti. Dare del bene non per il bene in sè, ma perchè il bene che io do è il filo che tiene l'altra persona legata a me. Il bene è uno strumento, un mezzo, non un fine. Voglio che sia io a dare del bene all'altra persona, perchè solo il mio bene può tenerla qui. Il bene in sè non è abbastanza, il bene che ricevi deve essere il mio. E' per questo che due felicità si fondono e diventano una felicità sola. Sono felice per la tua felicità perchè sono io a dartela. La tua felicità mi rende felice perchè la tua felicità dipende da me, la tua felicità è ciò che ti tiene qui con me. La felicità che tu prendi dagli altri non serve a riempire il mio spazio vuoto.
Ecco, potrei sbagliarmi, ma credo che sia questa roba qui l'amore.
Ora, la grande domanda è: ci si può riempire semplicemente dando del bene, senza che questo bene sia anche un mezzo per ricevere qualcos'altro? Il bene può davvero essere solo il fine, e non il mezzo? Può bastare il bene dato? Se qualcuno sa la risposta...anzi, no, se qualcuno è sicuro della risposta, ma sicuro davvero, non importa come e perchè, per favore, me lo dica.

martedì 15 luglio 2008

consigli per il prossimo 8per1000

chiesa valdese su tema bioetico
(i soldi dell'8per1000 che le persone scelgono di non destinare a nessun ente religioso finiscono comunque alla chiesa cattolica, grazie a un trucco nella legge italiana. Tanto vale darli a chi cerca invece di fare del bene per la società)

lunedì 14 luglio 2008

base

Stasera volevo scrivere solo due righe. La prima è questa.
La seconda è questa.
Poi però ho pensato che si poteva scrivere anche qualcos'altro. Tanto ormai le righe sono già diventate tre. Anzi quattro.
Il problema è che non ho niente da dire. Come si fa a scrivere qualcos'altro se non si ha niente da dire? L'unico sistema è lasciar perdere il contenuto, che tanto non c'è comunque, e puntare tutto sulla forma.
Ora, la forma più semplice è senz'altro il triangolo, ma non escludo in futuro di provare con forme più sofisticate come il rombo e il parallelepipedo. Tra l'altro il nome parallelepipedo mi ha sempre fatto ridere. Pipedo pipedo. Sì, è simpatico il parallepipedo. Credo che si dovrebbe dargli un po' più di considerazione anche dopo la quinta elementare. Ci vorrebbero più cose a forma di parallelepipedo nel mondo, non solo la gomma per cancellare. Tanto l'area è come quella dei rettangoli, base per altezza. Poi se si vuole si può anche dividere per due, ma vi viene un'area sbagliata. Il parallelepipedo va misurato tutto intero, pipedo compreso.
Ma per ora, siccome siamo al primo esperimento, diciamo che se si vuole scrivere qualcos'altro ma non si ha niente da dire, conviene dirlo a triangolo. Base per altezza diviso due, teorema di Pitagora, isoscele equilatero scaleno, il triangolo no, eccetera.
Allora.
Iniziamo.
Con calma.
Poche parole.
Giusto due, tre.
Poi sempre di più.
Senza niente da dire.
Niente di serio,almeno.
E tener d'occhio i margini.
Non si può mai andare a capo.
Altrimenti il triangolo si spezza.
Però temo che fra poco devo finire.
Il margine si avvicina inesorabilmente.
La pagina è stretta, il gioco termina subito.
Ma c'è il tempo per la buonanotte, dalla base.
Buonanotte a chi è sempre vicino,comunque sia.
Buonanotte a quelli che sono la base della mia vita.

sabato 12 luglio 2008

notte

Notte. Il tempo rallenta. Lo spazio si allarga.
I pensieri si fanno più chiari, li si può persino capire. L'oscurità copre quello che non si vuole vedere, prima che la luce del giorno torni a illuminarlo. Tutti abbiamo qualcosa che vorremmo semplicemente dimenticare. La notte arriva per aiutarci.
La notte è una scatola in cui nascondere, in cui nascondersi. La notte è il posto di chi ha bisogno, e di chi ancora non ha capito di cosa ha bisogno.
La luna e le stelle bastano. La luna nel suo pallore, le stelle nel loro minuscolo brillare. Brillano come se lottassero per non diventare luce accecante, come se volessero continuare nel loro piccolo, innocente risplendere. Solo risplendere, senza la pretesa di gettare luce sulle cose, senza l'arroganza di abbagliare.Le stelle sono fari sparsi nel mare del cielo, che ci insegnano a non avere paura del buio che le circonda, che ci insengnano che ci si può perdere nell'oscurità senza perdersi. Le stelle sono luce sbriciolata che non vuole raccogliersi in una luce sola, e così ci invitano a spargere i nostri pensieri nel buio confortante di questa coperta di cielo. Ci aiutano a dimenticarci per qualche ora di noi stessi, ad alleggerirci di tutto quello che siamo o che dobbiamo essere.
Forse le stelle sono pensieri che non sanno più a chi appartengono.
La luna lascia fare, non c'è niente che la possa smuovere. Ma ci guarda per dirci che lei, almeno lei, ci vuole bene. Che lei sarà sempre lì, da qualunque posto ci affacceremo a guardarla. La luna ci aspetta, e mentre aspetta lascia che ci perdiamo sicuri nella notte.

giovedì 10 luglio 2008

arroganza

Si sono dette molte parole inutili ieri e oggi, dopo che il tribunale di Milano ha autorizzato a sospendere il nutrimento e lasciar morire una ragazza che da 16 anni era praticamente un vegetale. Ovviamente le parole inutili sono tutte arrivate dal Vaticano e dai vari bioeticisti cattolici, e ovviamente non c'è stato articolo di giornale o servizio televisivo che non abbia affiancato la notizia dell'autorizzazione del tribunale al commento del vescovo o del cattolico di turno. Pazienza. Prima o poi il Medioevo finirà anche per noi italiani, anche se non possiamo illuderci che noi vivremo abbastanza a lungo per vedere questo momento.
Siccome ogni volta che si tratta uno di questi temi delicati (non solo le questioni di fine vita) arriva un vescovo a dire la sua, mi viene da pensare che a loro deve averglielo detto Dio in persona che l'eutanasia è sbagliata, che la sospensione del nutrimento è sbagliata, che l'aborto è sbagliato, che i matrimoni omosessuali sono sbagliati, che le coppie di fatto sono sbagliate, e via dicendo. Non mi risulta infatti che sulla Bibbia si parli di queste cose (a meno di non dare interpretazioni piuttosto fantasiose).
A me Dio non ha mai detto niente al riguardo, nè probabilmente ha detto niente a tutti quelli che compiono un certo tipo di scelte non tanto convenzionali.
Allora i casi sono due. O Dio parla solo a certe persone e non ad altre, e allora quelli che pensano e scelgono con la propria testa non fanno niente di sbagliato, perchè semplicemente non sono stati "illuminati". Oppure questi signori che dicono di saperla lunga parlano in realtà a vanvera. Comunque sia, la cosa non fa molta differenza sul piano pratico. Rimango innocente qualunque sia la mia scelta.
Se questi saccenti sono davvero così sicuri delle loro verità da non poter fare a meno di tacere davanti a una situazione così disperata, personale e difficilmente immaginabile come quella di un padre che arriva a implorare di lasciare morire la propria figlia, allora mi auguro che presto capiti anche a loro di trovarsi nelle stesse condizioni, e di soffrire, di disperarsi, in modo da poter dimostrare tutta la loro bravura nel rispettare quello che predicano. Ben venga, sarebbero fatti loro.
Che però si permettano, con la solita arroganza che li contraddistingue, di intromettersi in questo modo in situazioni tanto delicate, senza porsi il problema di quanto le loro parole possano ferire i diretti interessati e aggravare la loro disperazione, è qualcosa che davvero non mi va giù. Non lo sopporto. Non sopporto che qualcuno pretenda di saperla più lunga di un papà riguardo al bene di sua figlia.
Tra tutte le parole vuote e pompose sprecate in questi giorni, credo che la cosa più intelligente sia stata detta proprio dal padre di Eluana, oggi: "Quello che dice il Vaticano vale per il Vaticano, quello che diceva mia figlia vale per mia figlia". Sono le parole più intelligenti perchè sono quelle più semplici, modeste e soprattutto dette dall'interno della situazione difficile che si sta vivendo.
Tutto il resto sono parole buone per riempire i salotti.

postilla: i vescovi dicono che la scelta è inaccettabile perchè in realtà si tratta di "vera e propria eutanasia". E allora? L'eutanasia è persino legale in alcuni stati, in Europa e in America. Di nuovo si getta fumo negli occhi alla gente. Si fa credere che basti usare la parola eutanasia per dimostrare che una certa scelta è sbagliata. Io sono favorevole all'eutanasia. Ci mancherebbe altro. Non solo al suicidio assistito o al lasciar morire. Sono favorevole all'eutanasia attiva, quella in cui un medico va da un malato sofferente che non sopporta più la propria condizione e gli inietta una sostanza che lo uccide. Se il medico non se la sente si trovi qualcun altro disposto a farlo, ma non vedo perchè un malato non possa avere il diritto di scegliere di non soffrire più.
Comunque nel caso di Eluana Englaro è tecnicamente sbagliato, e quindi disonesto, parlare di eutanasia. Si tratta semplicemente di lasciar morire una persona che, se non fosse per l'intervento di mezzi artificiali, sarebbe naturalmente morta già da tanto tempo. Al limite si può dire che si tratta di "eutanasia passiva", perchè comunque ci vuole qualcuno che stacchi i tubi. Beh, io non me la sento di considerarlo un assassino.

rifiuti solidi

Prima di iniziare una nuova giornata è bene assicurarsi che quella precedente sia finita. E' come con il dentifricio, non bisogna iniziare un tubetto nuovo se ancora non si è finito quello vecchio. Poi il tubetto vecchio quando è vuoto lo si butta nel sacco dell'immondizia, i giorni vecchi invece si smaltiscono da soli e per lo più è materiale riciclabile. Un 9 luglio ben trattato, per dire, può tranquillamente essere riutilizzato per un 25 agosto o un 13 novembre. Il contenuto è più o meno lo stesso, i giorni restano giorni anche se sono fatti di materiale riciclato. La bistecca di oggi aveva grosso modo lo stesso sapore di quella dell'altro ieri, e la musica dei grilli di stasera è la stessa che risuona da mesi. Anch'io sono più o meno uguale, solo leggermente più allegro o più triste e coi capelli più o meno lunghi. Ma se mi vedete oggi e poi mi vedete di nuovo domani, vi sembrerò sempre lo stesso. Anche fra 20 anni, credo. Non so bene dove sarò, ma è probabile che sarò sempre io. Mi sarò riciclato, giorno dopo giorno, ma ci troverete dentro sempre la stessa roba. Niente di quello che sono adesso andrà sprecato, e in più continuerò a essere biodegradabile al 100%. Almeno finchè non sarò biodegradato. Poi riciclarmi sarà un po' più difficile.
Ho come l'impressione di essere finito un po' sul macabro. Ma insomma, volevo solo dire che niente di quello che siamo può essere buttato via. Tutto diventa quello che saremo, comprese quelle parti di noi che vorremmo semplicemente gettare nella spazzatura. Da qualche parte, magari nascoste o trasformate, le ritroveremo sempre qui. Parte di noi.

martedì 8 luglio 2008

stronzio

Secondo me ci sono delle parole che non si dovrebbero dire. Parole "disumane", non adatte a noi mortali. Non le capiamo bene, o forse le usiamo per dire cose impossibili.Oggi mi sono messo a pensare alle parole che secondo me andrebbero eliminate dal vocabolario. Ogni persona con il senso della misura dovrebbe evitarle.
Tanto per cominciare, le prime due parole da eliminare sono "sempre" e "mai". Sono parole che si riferiscono a una certa estensione del tempo che non ci appartiene e a un certo tipo di previsioni che non siamo in grado di fare. Niente di quello che viviamo o pensiamo o proviamo dura per sempre. Al limite, se si è fortunati, dura giusto il tempo di una vita, ma di solito non succede comunque. E il "mai" non è mai un "mai" nel senso del "mai". Di solito "mai" sta per "non penso sia possibile", ma le cose poi succedono indipendentemente dal fatto che noi le pensiamo possibili.
Poi un'altra parola che eliminerei è "Dio". E' evidente che è una parola superflua. Anzi, credo si vivrebbe meglio senza. Quando si dice "Dio" ognuno ha in testa una roba tutta sua. Per fortuna non passiamo molto tempo a parlare fra noi di Dio, altrimenti scopriremmo che non ci intendiamo per niente l'uno con l'altro. Il problema non è tanto se Dio esista o non esista. La cosa non ci fa nessuna differenza, perchè secondo me non è che le persone propriamente "credano" che Dio esista, al limite ci sperano. In effetti non ho mai ben capito la domanda "credi in Dio?". Non ci si ragiona mai sopra abbastanza. Se uno mi chiede se credo in Dio, deve dare per scontata una certa nozione di Dio. Bisogna che sia io che lui sappiamo di cosa stiamo parlando quando diciamo "Dio". Ma se già lo sappiamo la domanda è superflua. Se so cosa vuol dire la parola "Dio", allora so anche se Dio esiste oppure no. Ma il problema è che non sappiamo cosa voglia dire la parola "Dio", anch se c'è chi fa finta di saperla lunga (non so chi abbia dato loro l'illuminazione). La risposta che mi viene più naturale dare alla domanda "credi in Dio?" non è nè sì nè no. E' "ci spero". Ma con le speranze non si fa niente di concreto. Quindi anche "Dio" andrebbe tolta.
Poi toglierei anche la parola "zuzzurellone", tanto è l'ultima dell'elenco e mi piacerebbe sapere se qualcuno negli ultimi 50 anni l'abbia mai usata. A parte, ovviamente, quelli che l'hanno usata per dire che è l'ultima parola del vocabolario. Ma questi possono accontentarsi della penultima, non cambia molto.
Toglierei anche la parola "merda", perchè è volgare e i bambini alle elementari, quando imparano a usare il vocabolario in classe, vanno subito a cercare quella e scoppiano a ridere come dei deficienti e la maestra li manda fuori dalla porta. Questo episodio della mia infanzia mi è proprio rimasto impresso. Comunque ho riso di più quando ho scoperto che esisteva lo stronzio. Sfido chiunque a dire che non si è fatto delle grasse risate davanti a uno "stronzio".
Poi eliminerei anche le parole "buongiorno", "bensvegliato"- "buonappetito" (che già non esistono, ma li metto per sicurezza) e buonasera", in modo che rimanga solo "buonanotte" e possa finalmente andarmene a dormire.

Anche stasera non ho potuto raccontare la storia triste del camaleonte blu. E'davvero un peccato. Ci tengo a raccontarla, credo sia commovente. Arriverà anche il suo momento, basta solo avere pazienza. Ne vale la pena.
Per esempio, tanto per cominciare una storia che comunque adesso non ho tempo di cominciare, sarebbe interessante chiedersi con cosa stia cercando di mimetizzarsi un camaleonte blu. A me viene in mente una sola risposta possibile, ma la cosa è piuttosto strana, no? Questo camaleonte non potrebbe accontentarsi di mimetizzarsi con il verde degli alberi? Sì, prima o poi questa storia la devo proprio raccontare...
Nel frattempo, in preparazione alla storia triste del camaleonte blu, ecco il minimo indispensabile da conoscere:
camaleonti (famiglia Chamaeleonidae) sono rettili squamati appartenenti al sottordine delle lucertole. Sono contraddistinti da numerosi elementi peculiari: la capacità di mutare colore, la lunga lingua retrattile e appiccicosa con cui catturano gli insetti, e i grandi occhi che possono ruotare l'uno indipendentemente dall'altro. Il nome camaleonte viene dal greco e significa "leone di terra" (da chamai e leon).(da wikipedia)

un camaleonte blu



a parte la storia del colore, non è inquietante questa cosa degli occhi che possono ruotare l'uno indipendentemente dall'altro? Mi volete far credere che il camaleonte può guardare in due direzioni contemporaneamente? Io ne uscirei pazzo...

lunedì 7 luglio 2008

villeggiatura

Un lunedì mattina grigio e piovoso come questo stenderebbe il morale anche al più ottimista degli uomini. Io non conosco il più ottimista degli uomini, ma sicuramente da qualche parte esiste.
Comunque a me non fa nè caldo nè freddo. E' così bello risvegliarsi nel lettino di casa propria, mettersi a studiare sulla propria scrivania, potere uscire a prendere una boccata d'aria ogni tanto. E' così bello non avere le infermiere nel corridoio che starnazzano alle 5,30 di mattina, non essere buttati giù dal letto alle 6,30 per la visita, non avere uno sconosciuto nel letto di fianco che urla dal dolore per i calcoli biliali (o qualcosa del genere). Anche se in fondo in fondo non mi dispiaceva poi così tanto stare in ospedale. Una piccola villeggiatura dopotutto.Coccolato e accudito senza che stessi davvero "male", pranzo e cena serviti puntualmente, addirittura il tè nel pomeriggio, la vista stupenda dalla finestra sulla rocca, le passeggiate nel corridoio...va bene, basta scemenze, non mi manca proprio per niente!

Volevo scrivere la storia triste del camaleonte blu. Ma adesso non faccio più in tempo, la scrivo la prossima volta. Ci tenevo perchè mi sembra importante capire perchè un camaleonte diventi blu.
Prossimamente su questi schermi

domenica 6 luglio 2008

sincerità

Più mi guardo attorno e più mi convinco che l'egoismo è il sentimento più forte nelle persone. Siamo egoisti, siamo fatti di egoismo.
C'è un egoismo evidente che si riconosce subito, un volere tutto prima di tutto per se stessi, senza preoccuparsi di come gli altri vedono la cosa. Ma la maggior parte delle persone è egoista in un modo più subdolo e nascosto, forse in un modo peggiore. E' l'egoismo di chi si preoccupa per gli altri non per il bene che ha da dare, ma per il proprio bisogno di sentirsi a posto con la propria coscienza. Fare il proprio compitino verso gli altri, obbedire a quel senso del dovere cui siamo stati educati. Preoccuparsi non degli altri, ma di essere a posto con se stessi nel modo di porsi verso gli altri. Come gli altri stanno davvero, poi, è un altro discorso, certo non è un problema mio.
Ho fatto una telefonata, ho portato i biscottini, magari ti ho fatto persino una visita. Ti ho chiesto come stai, mi sono addirittura fermato per aspettare che mi rispondessi. Allora mi sento bene, mi sento a posto. Di più non posso, mi sembra già abbastanza eroico tutto questo, con tutto quello cui già devo pensare. Ecco i biscottini, sono stato buono a portarteli, hai visto? Qualcuno dovrebbe dirmi grazie, mi sembra il minimo.

Stamattina ho proprio tanta, tanta voglia di mandare a fanculo tante, tante persone. Anche questo è un modo di sentirmi a posto con la mia coscienza. Non sarà proprio conforme al mio senso del dovere, ma senza dubbio sarà la cosa più spontanea e sincera che si sarà sentita in tutti questi giorni. Perlomeno non vendo buonismo ed egoismo camuffati da bene e sincerità.
Andate a fanculo, davvero.