martedì 4 novembre 2008

riforme

Sono leggermente preoccupato per la mia università. Intendo proprio l’università in senso fisico, i muri, i mattoni, le biblioteche. Insomma, l’università. Non sono sicuro che la troverò ancora quando torno. C’è questa riforma, dicono. Di solito a me piacciono le riforme, soprattutto dove c’è tanto da riformare. Come in università. Troppi vecchi, troppi raccomandati, troppa burocrazia. Tutto da riformare. Meno vecchi, meno raccomandati, meno burocrazia. Giusto. Ma come si fa?
Per eliminare un po’ di vecchi, bisognerebbe assumere un po’ di giovani. Non basta mandare via i vecchi, bisogna fare dei concorsi per sostituire i vecchi che se ne vanno con i giovani.
Per eliminare i raccomandati, bisogna fare i concorsi con dei criteri diversi, un po’ più limpidi. Non basta eliminare i concorsi truccati. È la parola “truccati”, non la parola “concorsi” che è fuori posto.
Per eliminare la burocrazia, bisogna introdurre delle procedure un po’ più snelle. Non basta lasciare a casa il personale. Bisogna cambiare i meccanismi.
Ora, una “riforma” potrebbe fare tutte queste cose. Se fosse una “riforma”.
Solo che quando si tagliano i fondi in modo che ci sia un nuovo assunto per ogni 10che se ne vanno in pensione, e in modo che non ci siano più fondi da stanziare per fare nuovi concorsi e assumere nuovi giovani, e in modo che l’università passi da pubblica a finanziata privatamente (cioè finanziata da interessi privati), non mi pare che si stia facendo una riforma. Si stanno semplicemente tagliando i fondi. Poi uno può dargli il nome che vuole, magari se dice “riforma” può sperare che qualcuno in più sia d’accordo. “Tagli” è una brutta parola, non piace a nessuno. E allora “riformiamo”. Sì, dai, riformiamo. Più precisamente, riformiamo così:

In relazione a quanto previsto dal presente comma, l'autorizzazione legislativa di cui all'articolo 5, comma 1, lettera a) della legge 24 dicembre 1993, n. 537, concernente il fondo per il finanziamento ordinario delle università, e' ridotta di 63,5 milioni di euro per l'anno 2009, di 190 milioni di euro per l'anno 2010, di 316 milioni di euro per l'anno 2011, di 417 milioni di euro per l'anno 2012 e di 455 milioni di euro a decorrere dall'anno 2013.

Immagino quante cose si possano fare con tutti quei milioni risparmiati. Se dovessi fare una scommessa, così, la prima cosa che mi salta in mente, è che quei 4 avanzi di galera che sono in parlamento si adegueranno lo stipendio. Giusto, c’è l’inflazione, gli stipendi vanno adeguati. Mantenere portaborse e yacht oggi è diventato quasi proibitivo per molti di loro, è una situazione inaccettabile. Un’altra cosa che probabilmente questo governo illuminato farà è investire un po’ di spiccioli per progetti come “il rientro dei cervelli”, o qualcuna di queste cose vuote con cui ci si riempie la bocca. Mi pare che “rientro dei cervelli” sia un’invenzione della Moratti, forse la sua invenzione più innocua, magari fatta con la speranza di vedere tornare anche il suo di cervello. Siccome l’università italiana non paga i ricercatori, i ricercatori vanno a lavorare dove di solito chi lavora viene pagato. Cioè qualunque posto fuori dall’Italia. Siccome però in questo modo ci ritroveremo agli ultimi posti in Europa anche per l’università (in quasi tutto il resto lo siamo già), allora bisogna fare tornare i ricercatori. L’Italia agli italiani, o robe così. Che rientrino tutti i cervelli! Ora, il punto è: se nel frattempo l’università è sparita, dove tornano i ricercatori? Che vorrebbero anche essere pagati, non tanto, ma un pochino sì. Negli ultimi mesi e anni in Italia, con i pochi soldi ancora rimasti all’università, ci sono state scoperte scientifiche di livello internazionale. Naturalmente quelli che hanno fatto queste scoperte, se vorranno continuare sulle strade aperte, dovranno farlo da qualche altra parte. È la riforma, siamo spiacenti, ma ci vuole la riforma. E la prossima generazione di ricercatori italiani le loro scoperte le faranno direttamente all’estero. Mentre da noi le aziende private si compreranno la “ricerca”, e le scoperte saranno fatte solo se c’è qualcuno a cui conviene che si facciano. A qualche azienda farmaceutica conviene trovare una cura per il Parkinson? Se sì, allora abbiamo buone speranze. Se l’azienda produce già le pastiglie che servono a rallentare il Parkinson, allora noi ci teniamo il Parkinson e la nostra riforma.

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