Mi auguro un sereno e felice 2010, di quelli che non si vedono da anni. Me lo auguro con tutto il cuore. Lo auguro anche a qualcun altro, magari senza dirglielo. Anzi, sicuramente senza dirglielo. Almeno, non subito. Ma forse neanche dopo. Però lo si può augurare in silenzio, non cambia niente. Anche se forse a questo qualcun altro potrebbe far piacere sapere che glielo auguro. Allora forse conviene che prima o poi glielo dica. Anche se non lo farò.
Vorrei solo cose belle, e che ci fosse un modo meno banale per dirlo. Ma spesso il motivo per cui qualcosa è banale è che si tratta semplicemente di qualcosa di vero, evidente, incotrovertibile. Come il fatto che vorrei solo cose belle.
Belle, che vuol dire poi? Che facciano stare bene. Ma anche soltanto che non facciano troppo male.
Le vorrei per me e per tutti gli altri. Così, banalmente, io le vorrei. E questa è la banalità migliore con cui voglio finire il 2009. Banalmente, l'ultima parola che lascio in deposito nel mio 2009 è un banalissimo "vorrei"
giovedì 31 dicembre 2009
mercoledì 30 dicembre 2009
2010
Non credere di meritare tutti i fuochi d'artificio che ti dedicheranno. Certe cose bisogna prima sudarsele. Entra piano e mettiti comodo. Appena potrò ti dedicherò un po' di tempo. Cerca di passare lentamente. Vorrei notare qualche cambiamento oltre al calendario sulle pareti. Prepara un elenco di propositi che sei disposto a soddisfare. Adeguerò il mio elenco alle tue limitate possibilità. Non passare direttamente al 2 gennaio. Lasciami il tempo e il modo di vivermi una volta tanto anche il primo giorno dell'anno.
E poi fai qualcosa perchè così proprio non si può continuare
E poi fai qualcosa perchè così proprio non si può continuare
2009
Non fare rumore mentre te ne vai. Io non ne farò per salutarti. Non sbattere la porta mentre esci. Qualcun altro dovrà entrare subito dopo. Portati via tutte le tue cose. Fai un po' di spazio per quelle che verranno. Non credere di essere stato speciale. Ne verranno altri come te. Vattene.
lunedì 28 dicembre 2009
sonno
E' il modo in cui uno dorme che determina come uno vive. E viceversa. O viceversa. Io dormo a volte troppo, a volte troppo poco. E allo stesso modo vivo. E racconto il modo cui vivo troppo o troppo poco, come se conoscessi qual è il criterio che decide quando si può usare la parola "troppo". Adesso vorrei dormire, ma se lo volessi veramente non sarei qui a scriverlo. Nonostante il sonno. Una cosa che ho scoperto è che non sempre il sonno è una buona ragione per mettersi a dormire. O forse lo è sempre, solo che non sempre si fanno quelle cose che si hanno buone ragioni per fare. Anzi, di solito sono le cattive ragioni che determinano il modo in cui uno vive. E di conseguenza, il modo in cui uno dorme. Però lo stesso, adesso vorrei dormire. Perchè ho sonno, ma non solo. Vorrei dormire perchè in questo periodo preferisco quello che c'è oltre il muro del sonno. Perché nel sonno siamo tutti uguali, e le cose vanno per tutti nello stesso modo, cioè da nessuna parte, ma nemmeno ferme. Perchè nel sonno semplicemente le cose non ci sono, e non abbiamo il problema di dimenticarcene, o di non pensarci. Nel sonno non si può nè pensare nè non pensare, anche se forse diventiamo noi i pensieri di qualcun altro. Non so da dove mi sia uscita questa idea adesso. Non la penso veramente. Nessuno pensa a noi mentre dormiamo, nessuno prende in prestito la nostra vita fino al risveglio. La abbandoniamo lì sull'orlo del cuscino, come se non fosse roba nostra, come un pigiama stropicciato, o una lacrima da fare evaporare. E però la vita durante il sonno non evapora davvero, ci ripiove sempre addosso appena il sonno se ne va. Non mi importa, ora ho sonno, a domani mattina ci penserò poi.
sabato 26 dicembre 2009
26
Dio, ti avevo chiesto di mandarmela buona, perdio!
E invece l'hai mandata buona solo alla mia gatta, che ha approfittato del parapiglia per rifugiarsi in mansarda a dormire tutto il santo natale, lontano dalle persone cui non era gradita e che, ovviamente, lei non gradiva, ma di conseguenza lontano anche da chi avrebbe gradito passare il natale solo con lei. Cioè io.
Ho ricevuto tantissimi regali, ne ho fatti pochissimi e molto meno costosi. Nonmimporta. Prima o poi la gente capirà, e se no peggio per loro.
E invece l'hai mandata buona solo alla mia gatta, che ha approfittato del parapiglia per rifugiarsi in mansarda a dormire tutto il santo natale, lontano dalle persone cui non era gradita e che, ovviamente, lei non gradiva, ma di conseguenza lontano anche da chi avrebbe gradito passare il natale solo con lei. Cioè io.
Ho ricevuto tantissimi regali, ne ho fatti pochissimi e molto meno costosi. Nonmimporta. Prima o poi la gente capirà, e se no peggio per loro.
venerdì 25 dicembre 2009
santo natale 2009 II
Caro Dio, sappiamo bene tutti e due che tu non puoi esistere, suvvia, non prendiamoci in giro con questa roba del natale. Siamo qui a festeggiarti e tu nemmeno ti degni di esistere, o di mandarci un biglietto di ringraziamento.
Caro Gesù Bambino, anche io una volta sono nato, sai, ma non ho fatto tutto questo casino, e tra duemila anni nessuno ci farà più caso al 20 giugno. E invece noi adesso siamo qui con il nostro panettone e lo spumante, e tu sei morto da secoli e non sappiamo neanche se questa barba da gesucristo ce l'avessi davvero oppure ti disegnano soltanto così.
Caro Babbo Natale, vecchio grassone ubriacone con la tua barba zozza e i capelli da Marx, meno male che ci sei tu a dare un senso a questo venerdì di dicembre. Vieni a ubricarti con noi di birra e vino e whisky, che vedrai che il natale passa via più in fretta anche per te, vecchio sporcaccione.
Caro Gesù Bambino, anche io una volta sono nato, sai, ma non ho fatto tutto questo casino, e tra duemila anni nessuno ci farà più caso al 20 giugno. E invece noi adesso siamo qui con il nostro panettone e lo spumante, e tu sei morto da secoli e non sappiamo neanche se questa barba da gesucristo ce l'avessi davvero oppure ti disegnano soltanto così.
Caro Babbo Natale, vecchio grassone ubriacone con la tua barba zozza e i capelli da Marx, meno male che ci sei tu a dare un senso a questo venerdì di dicembre. Vieni a ubricarti con noi di birra e vino e whisky, che vedrai che il natale passa via più in fretta anche per te, vecchio sporcaccione.
lunedì 21 dicembre 2009
vasi
Commisurare le aspettative a una stima probabilistica sul verificarsi in un futuro accettabilmente vicino dell'evento oggetto delle aspettative medesime. Ovvero: pisciare sempre rigidamente dentro il vaso. Non solo in quello che si dice, non solo in quello che si fa, ma anche in quello che ci si aspetta. Soprattutto in quello che ci si aspetta. Sono sicuro che se la mia gatta avesse un vaso, ci piscerebbe sempre dentro, come fanno tutti i gatti normali che normalmente la fanno dentro alla loro sabbietta. La mia gatta non ha mai avuto la sabbietta perchè usa il giardino, ma comunque è lo stesso, secondo me la fa sempre dentro al giardino, il discorso non cambia.
Io invece devo ancora inculcarmi bene in testa questa regola, e ogni tanto mi capita che ne pago le conseguenze. In termini di aspettative disattese, si intende.
Poco male, se serve a imparare la lezione. Molto male, se non serve a niente, come temo sia il mio caso. Poco male, se il non servire a niente non crea danni. Molto male, se di danni ne crea a palate, soprattutto morali, come temo sia il mio caso. Poco male, se posso chiedere il risarcimento dei danni morali a qualcuno. Molto male, se i danni morali me li devo risarcire da solo, come temo sia il mio caso.
Vorrei che qualcuno ogni tanto badasse ai casi miei, e mi regalasse un vaso abbastanza grande per essere sicuro di non sbagliare mai mira.
Io invece devo ancora inculcarmi bene in testa questa regola, e ogni tanto mi capita che ne pago le conseguenze. In termini di aspettative disattese, si intende.
Poco male, se serve a imparare la lezione. Molto male, se non serve a niente, come temo sia il mio caso. Poco male, se il non servire a niente non crea danni. Molto male, se di danni ne crea a palate, soprattutto morali, come temo sia il mio caso. Poco male, se posso chiedere il risarcimento dei danni morali a qualcuno. Molto male, se i danni morali me li devo risarcire da solo, come temo sia il mio caso.
Vorrei che qualcuno ogni tanto badasse ai casi miei, e mi regalasse un vaso abbastanza grande per essere sicuro di non sbagliare mai mira.
mercoledì 16 dicembre 2009
anticamere
Ci sono cose che alla mia gatta non passano neppure per l'anticamera del cervello. Anche perché il cervello della mia gatta non è così grande da avere un'anticamera. Non che sia poco intelligente, anzi. E' che essendo gatta, si fa bastare quello che ha, e riesce a esprimere tutta la sua intelligenza felina con il minimo di massa cerebrale. E' una raffinatezza evolutiva il fatto che il suo cervello non si sia ingrandito al punto da consentirle di parlare e quindi comprendere un linguaggio umano. Così evita di ascoltare le scemenze che escono in continuazione dalla nostra bocca, soprattutto considerando che lei passa la maggior parte del suo tempo sonnecchiando davanti alla televisione accesa. Dev'essere questa capacità adattiva che ha consentito ai gatti di sopravvivere per millenni alla convivenza con gli uomini.
Purtroppo la stessa capacità non appartiene all'homo sapiens. Molti suoi esemplari soffrono la mancanza di un'anticamera del cervello, dove far riposare, sedimentare, maturare le idee prima che diventino veri e propri pensieri o addirittura, cosa dannosissima, parole. Ci sono dei movimenti dei nervi, del sangue, dello stomaco, e talvolta anche del deretano che diventano subito parole senza neanche un minimo di attesa, dei rutti di pensiero che fanno lo stesso rumore delle parole. Credo che ogni cervello dovrebbe essere dotato di un'anticamera dove far sostare per un po' i pensieri.
E se proprio non si riesce ad averla, almeno si impari dai gatti a sfruttare quel poco di intelligenza che ci è concessa. Forse finiremmo con il dire solo miao ogni volta che proviamo ad aprire bocca, ma questo non è necessariamente un male. Se si impara a vivere e soddisfare tutte le proprie esigenze vitali con l'ausilio di un solo miao, come fa la mia gatta, allora vuol dire che si è raggiunto il culmine della scala evolutiva. Lassù dove regna la mia gatta e tutta la sua specie.
Purtroppo la stessa capacità non appartiene all'homo sapiens. Molti suoi esemplari soffrono la mancanza di un'anticamera del cervello, dove far riposare, sedimentare, maturare le idee prima che diventino veri e propri pensieri o addirittura, cosa dannosissima, parole. Ci sono dei movimenti dei nervi, del sangue, dello stomaco, e talvolta anche del deretano che diventano subito parole senza neanche un minimo di attesa, dei rutti di pensiero che fanno lo stesso rumore delle parole. Credo che ogni cervello dovrebbe essere dotato di un'anticamera dove far sostare per un po' i pensieri.
E se proprio non si riesce ad averla, almeno si impari dai gatti a sfruttare quel poco di intelligenza che ci è concessa. Forse finiremmo con il dire solo miao ogni volta che proviamo ad aprire bocca, ma questo non è necessariamente un male. Se si impara a vivere e soddisfare tutte le proprie esigenze vitali con l'ausilio di un solo miao, come fa la mia gatta, allora vuol dire che si è raggiunto il culmine della scala evolutiva. Lassù dove regna la mia gatta e tutta la sua specie.
domenica 13 dicembre 2009
un-do
Gli inglesi hanno questa parola bellissima, "undo". Il vocabolario dice che significa "disfare", ma il vocabolario certe cose non le capisce. E' vero, "undo" si usa esattamente nello stesso senso e nelle stesse circostanze in cui in italiano si usa "disfare". Ma mi piace pensare che quella negazione, "un-", abbia in "undo" lo stesso senso radicale di opposizione, di autentica contrarietà che ha all'interno di altre parole inglesi.
"Undo". Non "disfare". "Disfare" vuole dire che si è fatta una cosa e adesso si fanno altre cose contrarie per annullare la prima cosa. Ma un-do è diverso. Un-do è cancellare il fatto di aver fatto qualcosa, è non aver mai fatto quello che si è fatto. Vorrei a volte che si potesse davvero usare un-do in questo senso. Come in quella canzone di Bruce, dove lo sceriffo scova il fuorilegge pentito e gli dice "Pete, we cannot undo those things we've done". Forse qui lo sceriffo ha in mente proprio il senso che vorrei io. Pete, non è che noi non possiamo disfare le cose fatte, o addirittura rimediare alle cose fatte. Il punto è che noi non possiamo fare in modo di non averle fatte, anche se le potessimo cancellare, nascondere, rendere inoffensive. Capisci Pete? Noi non possiamo. Si può solo disfare, ma disfare è troppo semplice, banale, gratuito per poter essere un rimedio. Quello che ci vorrebbe è qualcosa come "undo", ma capisci, Pete, che non si può? Come incollare i cocci di un vaso che si è rotto, o richiudere un pacco regalo che si è aperto. Non c'è niente che possa rimediare, niente che possa rendere i cocci un vaso non rotto.
"Undo". Non "disfare". "Disfare" vuole dire che si è fatta una cosa e adesso si fanno altre cose contrarie per annullare la prima cosa. Ma un-do è diverso. Un-do è cancellare il fatto di aver fatto qualcosa, è non aver mai fatto quello che si è fatto. Vorrei a volte che si potesse davvero usare un-do in questo senso. Come in quella canzone di Bruce, dove lo sceriffo scova il fuorilegge pentito e gli dice "Pete, we cannot undo those things we've done". Forse qui lo sceriffo ha in mente proprio il senso che vorrei io. Pete, non è che noi non possiamo disfare le cose fatte, o addirittura rimediare alle cose fatte. Il punto è che noi non possiamo fare in modo di non averle fatte, anche se le potessimo cancellare, nascondere, rendere inoffensive. Capisci Pete? Noi non possiamo. Si può solo disfare, ma disfare è troppo semplice, banale, gratuito per poter essere un rimedio. Quello che ci vorrebbe è qualcosa come "undo", ma capisci, Pete, che non si può? Come incollare i cocci di un vaso che si è rotto, o richiudere un pacco regalo che si è aperto. Non c'è niente che possa rimediare, niente che possa rendere i cocci un vaso non rotto.
rami
Difficile capire la direzione che si sta prendendo, se la si sia scelta o sia stata imposta, o se la direzione sia semplicemente una linea immaginaria che può essere disegnata, osservata, capita solo dopo che la si è percorsa. Quando ormai disegnarla, osservarla, capirla non serve a niente, se non ad alimentare i ricordi. O i rimpianti. Mi trovo su una direzione che potrebbe essere un'altra, che potrebbero essere due o tre o cento direzioni sovrapposte, pronte a sdoppiarsi da un momento all'altro. Quante sono le possibilità che ciascuna direzione possiede? In quanti rami può suddividersi? Quanti sono gli strati sovrapposti pronti a sparpagliarsi all'estremità di quella che sembrava essere un'unica linea, magari tortuosa e disordinata e imprevedbile, ma comunque una? Tra quante cose potrei ritrovarmi a dover scegliere, se mai si può davvero scegliere, proprio qualche metro più in là lungo questa strada che mi sembrava così semplicemente una?
giovedì 10 dicembre 2009
strozzo
Il gioco della briscola ruota attorno all'idea di un segno dominante a cui qualunque altro segno deve sottomettersi, a prescindere dal valore della carta. Se ci sono i presupposti giusti, per esempio, un due di picche può battere un asso di cuori o una donna di quadri, anche se poi, conti alla mano, un due di picche non vale niente e tutti i punti li fanno le carte più nobili. Ma non c'è niente da fare, anche le carte nobili devono sottomersi al seme di briscola.
La briscola, come tutti i giochi, prevede una componente di bravura e una di fortuna. Nella briscola a due la fortuna è quasi tutto, in quella a coppie bisogna sapersela cercare. Nella briscola chiamata, invece, la fortuna non conta quasi niente. E' tutta una questione di intuito, freddezza, memoria.
Io conosco un gioco che è molto simile alla briscola chiamata, però non è con le carte e non ci sono soci con cui sommare le forze. Ci gioco tutti i giorni, anche quando non ne ho voglia. E ogni giorno vinco e perdo qualcosa, quasi mai la stessa cosa, quasi mai compensando i due valori. Non credo di essere in pareggio, tutto sommato. Probabilmente sono in perdita, anche se ogni tanto mi capita di concentrarmi solo su quello che vinco fingendo di non vedere tutto il resto che, lì in un angolino del gioco, se ne va a rotoli.
Ma l'importante è che ci siano ancora carte per nuove mani, e un foglio su cui segnare i punti persi e quelli guadagnati. Sempre stando bene attento a non tirare troppe somme, almeno finché potrò permettermi il lusso di punteggi provvisori.
La briscola, come tutti i giochi, prevede una componente di bravura e una di fortuna. Nella briscola a due la fortuna è quasi tutto, in quella a coppie bisogna sapersela cercare. Nella briscola chiamata, invece, la fortuna non conta quasi niente. E' tutta una questione di intuito, freddezza, memoria.
Io conosco un gioco che è molto simile alla briscola chiamata, però non è con le carte e non ci sono soci con cui sommare le forze. Ci gioco tutti i giorni, anche quando non ne ho voglia. E ogni giorno vinco e perdo qualcosa, quasi mai la stessa cosa, quasi mai compensando i due valori. Non credo di essere in pareggio, tutto sommato. Probabilmente sono in perdita, anche se ogni tanto mi capita di concentrarmi solo su quello che vinco fingendo di non vedere tutto il resto che, lì in un angolino del gioco, se ne va a rotoli.
Ma l'importante è che ci siano ancora carte per nuove mani, e un foglio su cui segnare i punti persi e quelli guadagnati. Sempre stando bene attento a non tirare troppe somme, almeno finché potrò permettermi il lusso di punteggi provvisori.
martedì 8 dicembre 2009
momento
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Pausa di riflessione.
Non fare nulla, non dire nulla.
Trattenere qualunque parola, qualunque gesto, qualunque cosa possa essere usata contro di me. Anche da me.
Silenzio, calma, ordine.
Adesso bisogna che le cose vadano, e che le parole stiano nascoste.
Pausa.
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Pausa di riflessione.
Non fare nulla, non dire nulla.
Trattenere qualunque parola, qualunque gesto, qualunque cosa possa essere usata contro di me. Anche da me.
Silenzio, calma, ordine.
Adesso bisogna che le cose vadano, e che le parole stiano nascoste.
Pausa.
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mercoledì 2 dicembre 2009
cheffare
Me ne vado in Germania qualche giorno. Così, per non sapere cheffare.
Nel frattempo comunque mi sarei anche trovato un lavoro, di quelli che nonsoffare. Mi pare che devo tenere dei segreti, o qualcosa del genere.
Comunque per qualche giorno mi allontano dalla mia segreteria e mi butto sulla Germania, per non pensare a quello che nonsoffare.
Poi da settimana prossima ci sarà da divertirsi, forse persino per me.
Nel frattempo comunque mi sarei anche trovato un lavoro, di quelli che nonsoffare. Mi pare che devo tenere dei segreti, o qualcosa del genere.
Comunque per qualche giorno mi allontano dalla mia segreteria e mi butto sulla Germania, per non pensare a quello che nonsoffare.
Poi da settimana prossima ci sarà da divertirsi, forse persino per me.
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