Lui la raggiunse nell'erba insanguinata, s'inginocchiò appoggiandosi al fucile e le mise una mano sul collo. La bestia lo guardò senza paura, con gli occhi caldi e umidi, e morì. Lui si sedette e la guardò a lungo. Pensò al capitano chiedendosi se era vivo, pensò a Blevins, pensò ad Alejandra e ricordò la prima volta che l'aveva vista passare di sera sulla strada della ciénaga col cavallo bagnato appena uscito dal lago. E ricordò gli uccelli, il bestiame al pascolo e i cavalli selvaggi sulla mesa. Il cielo era scuro e tirava un vento freddo. Nella luce morente del giorno, un'ombra viola e fredda aveva trasformato gli occhi della cerbiatta in una delle tante cose fra le quali l'animale giaceva. Erba e sangue. Sangue e pietre. Pietre macchiate dalle prime gocce di pioggia. Ricordò Alejandra e la prima volta che aveva visto le sue spalle curve per la tristezza, una tristezza che aveva creduto di capire ma di cui non aveva capito nulla, e si sentì solo come non gli era più capitato da quand'era bambino, totalmente estraneo al mondo che pure continuava ad amare. Pensò che la bellezza del mondo nascondeva un segreto, che il cuore del mondo batteva a un prezzo terribile, che la sofferenza e la bellezza del mondo crescevano di pari passo, ma in direzioni opposte, e che forse quelle forbice vertiginosa esigeva il sangue di molta gente per la grazia di un semplice fiore.
(Cormack McCarthy, Cavalli selvaggi)
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