Provateci voi, a fare capire a un'impiegata delle poste la differenza fra il concetto di "plico aperto" e il concetto di "plico apribile". E se non si riesce, toglieteci pure tutti i concetti e provateci, a farle capire la differenza fra un plico aperto e un plico apribile. E che, anche tralasciando la considerazione che il concetto di "apribile" è complementare al concetto di "chiuso", a sua volta opposto al concetto di "aperto", anche tralasciando queste questioni concettuali, dicevo, una cosa apribile è una cosa chiusa, cioè una cosa non aperta, ché se fosse aperta non ci sarebbe il problema di aprirla e, va da sè, di renderla apribile.
Niente, non ce la farete, vedrete che non ce la farete, e vi toccherà litigare, e uscire dall'ufficio postale incazzati, e tornare all'ufficio postale dopo aver controllato sul sito internet che effettivamente il plico doveva essere solo apribile, e non aperto, e di nuovo ricominciare a convincere l'impiegata che vi ripete "Vede c'è scritto 'apribile', e il suo invece era chiuso", convincerla che appunto perchè c'è scritto "apribile" era stato giusto consegnarle il plico chiuso, e lei state certi che non vi capirà, e uscirete ancora dall'ufficio postale ancora più incazzati di prima, e così via inesorabilmente all'infinito, dentro e fuori da un ufficio postale, per l'eternità, finchè l'ufficio postale chiude.
Provateci voi, provateci.
venerdì 30 aprile 2010
domenica 25 aprile 2010
muri futuri
Si fa parecchio fatica a stare in piedi, senza un punto d'appoggio, in mezzo agli scossoni, in questa instabilità che è là fuori ma che pian piano entra dentro, in un circolo dove non si sa più dove e quando sia l'inizio, se e quando ci sarà una fine. Sono io a proiettare sul mondo la mia instabilità, o è l'instabilità del mondo a penetrare pian piano nel mio equilibrio interiore? Il motivo per cui non potrò mai rispondere è che non c'è mai stato un equilibrio interiore, e quindi non c'è mai stato un punto di partenza, un momento in cui tutto è iniziato, un momento a cui risalire per vedere come fossero le cose prima. Non c'è nessun "prima", ecco.
Il futuro è un muro grigio che si vede in lontananza, ma che pian piano si avvicina, e poi un po' meno piano, e poi quasi veloce, e poi talmente veloce che ti accorgi di non avere il tempo per trovare il modo di non andare a sbatterci. Così mi sono schiantato contro il muro del mio futuro, che mi ha rimbalzato all'indietro, ma forse non mi ha distrutto. Continuerò a picchiarci contro, nonostante il male che fa, nonostante il suo grigio avvilente, nonostante la durezza della sua sostanza, finchè prima o poi, da qualche parte, a costo di sanguinare, uno spiraglio si dovrà aprire, e il muro crollerà sotto i miei colpi, e da qualche parte oltre quel muro ci sarà il mio presente.
Un giorno.
Il futuro è un muro grigio che si vede in lontananza, ma che pian piano si avvicina, e poi un po' meno piano, e poi quasi veloce, e poi talmente veloce che ti accorgi di non avere il tempo per trovare il modo di non andare a sbatterci. Così mi sono schiantato contro il muro del mio futuro, che mi ha rimbalzato all'indietro, ma forse non mi ha distrutto. Continuerò a picchiarci contro, nonostante il male che fa, nonostante il suo grigio avvilente, nonostante la durezza della sua sostanza, finchè prima o poi, da qualche parte, a costo di sanguinare, uno spiraglio si dovrà aprire, e il muro crollerà sotto i miei colpi, e da qualche parte oltre quel muro ci sarà il mio presente.
Un giorno.
sabato 24 aprile 2010
mercoledì 21 aprile 2010
fantasy
Stanco. Stanco stanco stanco stanco. Per che cosa, poi? Uno che arriva a sera stanco, dovrebbe arrivarci felice. E con qualcosa in tasca, qualcosa di più sostanzioso dell'aria fritta.
Dovrebbe.
E dovrei anch'io.
Che invece sono solo stanco, senza un briciolo d'altro.
Mi dico che non è giusto, così, per consolarmi o forse darmi coraggio. Non è giusto, ecco. Si dovrebbe ricevere in base a quello che si dà, non di meno. Anche perché quando si riceve di meno, è perchè qualcun altro da qualche altra parte sta ricevendo di più.
Tutto questo mi fa schifo. Questo mondo. Schifo schifo schifo. Anzi no, non questo mondo. Le persone di questo mondo mi fanno schifo, soprattutto quelle che non conosco, perchè mi viene più facile odiarle, ma a volte anche quelle che conosco, perchè spesso è più facile odiare loro.
Bisogna avere una bella fantasia, certe volte. Altrimenti si resta solo con questo mondo, e non si sa proprio che cosa farsene.
Dovrebbe.
E dovrei anch'io.
Che invece sono solo stanco, senza un briciolo d'altro.
Mi dico che non è giusto, così, per consolarmi o forse darmi coraggio. Non è giusto, ecco. Si dovrebbe ricevere in base a quello che si dà, non di meno. Anche perché quando si riceve di meno, è perchè qualcun altro da qualche altra parte sta ricevendo di più.
Tutto questo mi fa schifo. Questo mondo. Schifo schifo schifo. Anzi no, non questo mondo. Le persone di questo mondo mi fanno schifo, soprattutto quelle che non conosco, perchè mi viene più facile odiarle, ma a volte anche quelle che conosco, perchè spesso è più facile odiare loro.
Bisogna avere una bella fantasia, certe volte. Altrimenti si resta solo con questo mondo, e non si sa proprio che cosa farsene.
venerdì 16 aprile 2010
ripari
Pioggia. Dolce. Morbida. Profumata pioggia.
Là fuori. Lontana, eppure sopra di me. E intorno. Ma comunque lontana.
Rumore che non disturba, un bussare che non chiede "permesso", ma che serve solo a rassicurare sulla distanza che resta fra qui dentro e là fuori. Lontano, eppure sopra di me, dove piove.
Più forte, per favore, più forte. Questa pioggia non mi basta. Voglio sentire più forte questo essere riparato dalla pioggia. Voglio che tutto si bagni, che tutti si inzuppino d'acqua, per essere rassicurato del fatto che il tutto non mi appartiene, che io non sono tutti. Voglio essere sicuro che piova anche mentre dormo, perchè il sonno al riparo dalla pioggia mi porti ancora più lontano da questo mondo bagnato.
Ora dormo, ma deve piovere all'infinito, altrimenti sarà solo un sonno normale, senza altro senso se non recuperare dalla stanchezza. Voglio un sonno che sia soprattutto uno stare al riparo dalla pioggia. Un sonno per il quale non serve dormire.
Là fuori. Lontana, eppure sopra di me. E intorno. Ma comunque lontana.
Rumore che non disturba, un bussare che non chiede "permesso", ma che serve solo a rassicurare sulla distanza che resta fra qui dentro e là fuori. Lontano, eppure sopra di me, dove piove.
Più forte, per favore, più forte. Questa pioggia non mi basta. Voglio sentire più forte questo essere riparato dalla pioggia. Voglio che tutto si bagni, che tutti si inzuppino d'acqua, per essere rassicurato del fatto che il tutto non mi appartiene, che io non sono tutti. Voglio essere sicuro che piova anche mentre dormo, perchè il sonno al riparo dalla pioggia mi porti ancora più lontano da questo mondo bagnato.
Ora dormo, ma deve piovere all'infinito, altrimenti sarà solo un sonno normale, senza altro senso se non recuperare dalla stanchezza. Voglio un sonno che sia soprattutto uno stare al riparo dalla pioggia. Un sonno per il quale non serve dormire.
sabato 10 aprile 2010
freddore
D'accordo, d'accordo, ho esagerato. Le cose non vanno poi così male. Non mi ero accorto di essere stato così tragico.
Oggi era primavera. E io ero in casa con il raffreddore. E gli uccellini fuori cantavano, e le farfalle si libravano nel dolce brezza di aprile, e il venticello leggero scivolava sulle gemme verdi, e si sentivano suonare i violini e bla bla bla. E io ero in casa con il raffreddore. E la mia gatta si rotolava nell'erba, e i bambini nella via giocavano a pallone per strada, e il cielo era di un blu mai visto, e quasi l'avresti chiamata estate, e bla bla bla. E io ero in casa con il raffreddore. Comunque, dicevo, non è poi così male: domani dovrebbe tornare a piovere, e io me ne starò in casa con il mio raffreddore. Vedi che piano piano le cose si sistemano...
Oggi era primavera. E io ero in casa con il raffreddore. E gli uccellini fuori cantavano, e le farfalle si libravano nel dolce brezza di aprile, e il venticello leggero scivolava sulle gemme verdi, e si sentivano suonare i violini e bla bla bla. E io ero in casa con il raffreddore. E la mia gatta si rotolava nell'erba, e i bambini nella via giocavano a pallone per strada, e il cielo era di un blu mai visto, e quasi l'avresti chiamata estate, e bla bla bla. E io ero in casa con il raffreddore. Comunque, dicevo, non è poi così male: domani dovrebbe tornare a piovere, e io me ne starò in casa con il mio raffreddore. Vedi che piano piano le cose si sistemano...
giovedì 8 aprile 2010
dopo
Giorni neri che più neri non si può. Anzi sì, si può, ma mi basta così. Se solo potessi spaccherei qualcosa. Che in effetti sì, potrei, ma non è che serva a molto.
La pazienza consuma. MI consuma. Ci dev'essere un limite a tutto questo, un limite alla mia capacità di reggere. E il fatto di non sapere esattamente quale sia mi avvicina di più a questo limite. E' una cosa che non so, ma che sento.
Forse quello che ho appena scritto è paradossale, o forse non ha senso. Forse è solo che ho paura di essere pericolosamente vicino a questo limite, e di non sapere cosa ci sia dopo. Cosa succeda una volta che si superi il limite. O forse, peggio è ancora, è la paura che un limite non ci sia, che questo consumarsi possa andare avanti indefinitamene, che non si arrivi o, perlomeno, non si finisca da nessuna parte.
Ancora un po', ancora un po', e poi un altro po'..nell'angosciante attesa di un limite, un punto in cui, in qualche modo, si arriva, o si finisce.
La pazienza consuma. MI consuma. Ci dev'essere un limite a tutto questo, un limite alla mia capacità di reggere. E il fatto di non sapere esattamente quale sia mi avvicina di più a questo limite. E' una cosa che non so, ma che sento.
Forse quello che ho appena scritto è paradossale, o forse non ha senso. Forse è solo che ho paura di essere pericolosamente vicino a questo limite, e di non sapere cosa ci sia dopo. Cosa succeda una volta che si superi il limite. O forse, peggio è ancora, è la paura che un limite non ci sia, che questo consumarsi possa andare avanti indefinitamene, che non si arrivi o, perlomeno, non si finisca da nessuna parte.
Ancora un po', ancora un po', e poi un altro po'..nell'angosciante attesa di un limite, un punto in cui, in qualche modo, si arriva, o si finisce.
domenica 4 aprile 2010
cioccolato
A volte mi sembra che le cose vadano bene. E' quando il mondo si ferma, e io mi fermo insieme a lui. E' quando niente sta per succedere, e niente è appena successo. E di conseguenza niente succede. Dura poco, è vero, ma non importa, perchè la sua fine non sta mai per succedere, finchè non ci si accorge che è già successa.
Dev'essere per colpa della Pasqua che ragiono così. Della parentesi che la Pasqua apre e chiude per chi non la vive, e di conseguenza non vive nello stesso mondo insieme agli altri per questi due insignificanti e cioccolatosi giorni. Benchè una cosa cioccolatosa non possa mai, per definizione, essere del tutto insignificante.
Ad ogni modo, volevo mettermi un attimo in disparte dalle cose per riflettere oggi. Non l'ho fatto, perchè la cose mi hanno seguito fin dentro il mio rifugio privato. Che non esiste più. Ho paura che le cose siano diventate una parte di me. Anche se forse dovrei esserne contento. Solo che non riesco più a riflettere, a scavare a fondo. O forse non riesco più a darci la dovuta importanza. Tanto che non so nemmeno come chiamarla questa cosa, questa cosa a cui non riesco a dare importanza. Forse sto finalmente diventando superficiale, ma forse dire così è troppo presuntuoso. Forse mi sto finalmente rendendo conto di quanto sia sempre stato superficiale nel mascherare di parole apparentemente profonde la banalità dei miei pensieri.
Ma dev'esser per colpa della Pasqua che ragiono così. Non c'è da farci molto caso, basta una pasquetta a portarsi via tutto.
Dev'essere per colpa della Pasqua che ragiono così. Della parentesi che la Pasqua apre e chiude per chi non la vive, e di conseguenza non vive nello stesso mondo insieme agli altri per questi due insignificanti e cioccolatosi giorni. Benchè una cosa cioccolatosa non possa mai, per definizione, essere del tutto insignificante.
Ad ogni modo, volevo mettermi un attimo in disparte dalle cose per riflettere oggi. Non l'ho fatto, perchè la cose mi hanno seguito fin dentro il mio rifugio privato. Che non esiste più. Ho paura che le cose siano diventate una parte di me. Anche se forse dovrei esserne contento. Solo che non riesco più a riflettere, a scavare a fondo. O forse non riesco più a darci la dovuta importanza. Tanto che non so nemmeno come chiamarla questa cosa, questa cosa a cui non riesco a dare importanza. Forse sto finalmente diventando superficiale, ma forse dire così è troppo presuntuoso. Forse mi sto finalmente rendendo conto di quanto sia sempre stato superficiale nel mascherare di parole apparentemente profonde la banalità dei miei pensieri.
Ma dev'esser per colpa della Pasqua che ragiono così. Non c'è da farci molto caso, basta una pasquetta a portarsi via tutto.
giovedì 1 aprile 2010
berluscopoli
Sono un po' stufo di sentire dire che il Pd ha perso le elezioni per colpa del Pd, almeno tanto quanto sono stufo di sentire quelli del Pd che dicono di non aver perso le elezioni. Fondamentalmente il Pd ha perso le elezioni per colpa degli italiani. Se il prezzo da pagare per farsi votare dagli italiani è diventare simili a Berlusconi, sparando insulti a destra e a sinistra (ma più a sinistra), tenendo i giornalisti a libro paga, pagando le puttane con distribuzione di appalti e cariche pubbliche, molto meglio non farsi votare. Sono gli italiani che devono cambiare, non il Pd. E se gli italiani non cambiano, allora è giusto che vinca Berlusconi, di cui infatti gli italiani sono oggi lo specchio.
E amen.
E amen.
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