Preferivo prima, quando avevo la scusa di essere un bambino, o comunque non abbastanza grande per capire e sopportare tutto quello che succedeva a me e attorno a me. Quando c'era una porta da cui entrare e uscire a seconda dell'umore, come quando non si ha più voglia di giocare e si va via. Adesso per certe porte non si può più uscire, di scuse non ce ne sono più. Si chiama responsabilità, dicono. Ma cos'è questa responsabilità? Qualcosa come rispondere a se stessi di quello che si fa, delle decisioni che si prendono. Pagare il conto a se stessi, o quando va bene raccogliere da se stessi i frutti. Non è del tutto vero che a un certo punto bisogna sapere prendersi le proprie responsabilità. Le responsabilità si prendono anche se non si sa come si faccia a prendersele. Perché il conto da pagare c'è comunque, che tu sia pronto o no a essere grande, a stare dentro questa cosa da cui, da un certo punto in poi, non si può più uscire. Ma per prendersi le proprie responsabilità uno dovrebbe almeno sapere che cosa ci sia in gioco dietro a ogni scelta, che cosa si rischi e che cosa si potrebbe guadagnare. Altrimenti la storia delle responsabilità diventa solo un tirare a sorte, pescare alla cieca da un mazzo sconosciuto, senza sapere neppure di cosa dovremo rispondere quando sarà il momento di fare i conti.
Una volta ero un bambino, ed era meglio.
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