lunedì 21 marzo 2011

pacifico

Mi sposo.
Davvero, lo giuro.
Il 28 maggio.
No, non dell'anno prossimo. Questo 28 maggio. Sì, due mesi e mezzo.
E poi vado in Australia. No, non in viaggio di nozze. Vado proprio in Australia, mi trasferisco. A viverci.
Non capisco cos'abbia la gente da guardarmi con gli occhi sgranati quando comunico queste notizie.
Mi paiono cose tanto normali...sono innamorato, la persona che amo deve andare in Australia, segue che io me la sposo e vado con lei in Australia. Mi pare pacifico. Come l'oceano. Che infatti si chiama Pacifico perché è proprio in Australia, dove devo andare io.
Non so se la gente resti più scossa all'idea del matrimonio o all'idea dell'Australia. Mia nonna deve ancora riprendersi da entrambe. Ma mia nonna sarebbe sconvolta anche se le dicessi che mi trasferisco a Milano. Quindi tanto vale, allo stesso prezzo, spingermi più in là.
Tre mesi, e poi via.
Ma un matrimonio e un viaggio in Australia, che vuoi che sia? Si prepara tutto in quattro e quattr'otto.
Sono contento all'idea di sposarmi, non riesco a essere angosciato. Anche se i preparativi non sono proprio del tutto preparati. Che altrimenti non si chiamerebbero "preparativi". Non mi importa molto dei preparativi in fondo, forse perché nutro una fede cieca e immotivata nel fatto che in qualche modo si farà. Perché insomma, che lo vogliamo o no, in qualche modo il 29 maggio arriverà per tutti. E sono sicuro che lì ci guarderemo indietro e avremo un po' di nostalgia delle settimane passate e ci scapperà un mezzo sorriso al pensiero di quanto, in fin dei conti, sia stato tutto così divertente e assurdo e ironico e assolutamente inzenzato.
Dio benedica i preparativi dei matrimoni

domenica 20 marzo 2011

Ti chiederò dove hai messo il mio silenzio, e tu mi sussurrerai la risposta nell’orecchio, piano, con un soffio di voce che filtra tra le labbra socchiuse. Una risposta troppo debole per essere sentita. E tenderò l’orecchio più vicino a te, per sentirti meglio, e tu mi ripeterai la risposta e ancora io non riuscirò a sentirti. E mi farò ancora più vicino, appoggiando l’orecchio sul tuo labbro, e ti chiederò di sussurrarmelo ancora un volta. E tu di nuovo socchiuderai le labbra, e io sentirò il vento della tua voce che mi accarezza l’orecchio, e mi accorgerò solo allora che quel soffio è solo aria senza suono, che nessuna parola è mai uscita dalla tua bocca, e quel che non sentivo era quel che non poteva essere udito. E mi accorgerò allora che il mio silenzio, proprio quello di cui ti chiedevo, che il mio silenzio è lì con te, al sicuro.

giovedì 3 marzo 2011

freddi

È tornato il freddo, cane pungente polare. Penserò a questo freddo porco se mai in Australia mi dovesse capitare di avere nostalgia di questo Paese cane porco, e la malinconia lascerà il passo a un sospiro di sollievo.

E poi penserò a questo Paese che è il peggior Paese del mondo, venduto al fumo del miglior offerente. Venduto perché volontariamente vendutosi al gusto dell’apparenza scambiata per sostanza, dell’arroganza scambiata per forza, della prepotenza scambiata per potere. Paese povero di soldi e di spirito e di speranza, e povero di soldi proprio perché povero di spirito e di speranza. Paese di nulla, con una nullità al governo e una nullità all’opposizione, con il nulla più assoluto nella testa della gente che ancora si ostina a credere al nulla di questo Paese

Penserò al freddo, sì, ma non al freddo di questa sera nevosa di inizio marzo. Penserò al freddo che questo Paese mafioso perdente ammuffito ha dentro. Questo Paese che ha barattato il senso del dovere e la moralità con il moralismo superficiale e sporco e mafioso del suo marcio retroterra cattolico, di un Vaticano che lo governa in quel modo mafioso che neanche la mafia è mai stata capace di imitare, succhiando il sangue i soldi e l’intelligenza a un popolo di pecoroni infiacchiti che si fa lustro degli artisti e geni della propria storia per nascondere dietro ai loro nomi rari e luccicanti tutta l’ignoranza e l’arroganza e l’ottusità che ci rendono quel che siamo, italiani, l’etichetta più vergognosa che uno si potrebbe portare dietro.

Penserò a questo freddo glaciale in Australia, o in qualunque altra parte del mondo finirò. E mi scapperà anche un mezzo sorriso, forse per via di quella sottile sensazione di essermi messo in salvo.