mercoledì 23 febbraio 2011

dove c'era

A giugno dunque vado in Australia, ed è come cambiare vita. Il nord col sud, il giorno con la notte, l’estate con l’inverno, il là con il qua.

E la solitudine con l’amore.

Cambiare vita è la cosa migliore che potesse capitarmi. Solo che ci ho messo un bel po’ a imparare che cambiare vita non è una cosa che semplicemente può capitare, piombare sulla mia testa come un fulmine che cade dal cielo e mi dà la scossa. Per cambiare vita bisogna scegliere e buttarsi ad occhi chiusi dentro a qualcosa che ancora non si vede, che promette e minaccia insieme, che innaffia le speranze ma coltiva anche qualche paura. Ma che comunque cambia le cose, cambia la vita e la rende qualcosa di diverso. Qualcosa con più valore, su questo non ho dubbi. Insomma, “qualcosa”. Che di questi tempi è già qualcosa…mi regala un futuro dove finora c’era solo presente, mi regala il coraggio dove finora c’era solo angosciante attesa, mi regala aria fresca dove finora c’era solo una cappa soffocante di frustrazioni.

E l’amore dove c’era solitudine.

Partire è la cosa migliore che uno può fare, quando sembra che non ci sia altro da fare, che tutto quello che si doveva fare lo si sia fatto e niente ormai sia più nelle proprie mani. E invece no, io parto e tutto torna d’improvviso nelle mie mani, il mio potere su me stesso e su quello che mi capiterà. Le mie mani diventano lo strumento con cui so che dovrò modellare il mio futuro, le mie mani sono ciò con cui scaccerò i fantasmi quando penderanno sulla mia testa e proveranno a offuscarmi la vista. Con le mie mani, e solo con loro, farò tutto.

E con le mie mani, soprattutto, terrò stretto il mio amore. Proprio qui, dove c’era solitudine.

lunedì 14 febbraio 2011

aeroporti

C’è qualcosa che non va negli aeroporti. Un senso di malinconia che pervade tutto. Come se si percepisse l’assenza delle persone che ancora sono lì, con i bagagli in mano. E’ il posto dove le persone iniziano gradualmente a scomparire, prima della partenza. Credo sia questa gradualità ad atterrire. Il fatto che non si sa mai bene quale saluto, quale bacio o quale abbraccio sia l’ultimo. Che c’è sempre la possibilità di voltarsi a salutare ancora un’ultima volta, e tante più volte uno vorrebbe voltarsi quanto più lontana è la destinazione di chi parte. È come se l’istante del saluto si frazionasse in un’infinità di piccolissimi frammenti, in ognuno dei quali è racchiuso un altro sguardo, un altro abbraccio, un altro “ciao”. E il momento di salutarsi davvero sembra sempre così lontano, irreale, come se non dovesse arrivare mai, perché ci sono ancora tantissimi istanti nel mezzo. Finché a un certo punto, quasi fosse una sorpresa, ci si accorge che la persona che si stava salutando è partita davvero, che non è più qui, anche se sembrava si potesse trattenerla ancora un po’, ancora per tantissimi piccoli istanti.
Oggi c’era un’atmosfera tristissima all’aeroporto. Ma sono state due settimane pienissime, come il tempo che verrà. E presto l’aeroporto sarà di nuovo il posto dell’attesa, del ritorno, del nuovo inizio.
Dev’essere la mancanza di sonno che l’ultima notte in bianco mi ha lasciato in eredità a farmi vedere tutto un po’ più grigio di come in realtà è, e persino un po’ più grigio di questo cielo che oggi ha reso tutto ancora più difficile.
Ma le cose sono diverse da come mi sono sembrate oggi, questo lo so. Le cose sono migliori. Ora lo sono. Da un po’ di tempo lo sono.
Appena in tempo, sono migliorate, prima che io sprofondassi.
Sono qui in attesa. E questo è già qualcosa. Anzi, questa attesa per me adesso è tutto. Tutta la mia vita sta in questa breve e lunghissima attesa di un ritorno.
Perché la cosa bella è questa: che gli aeroporti sono anche i luoghi dei ritorni.